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  • Giovedì 6 settembre 2012

Il Kalashnikov in crisi

La società che produce l'AK-47 ha seri problemi economici: mancano nuove commesse dell'esercito russo e le imitazioni a basso prezzo sono sempre più diffuse

Dmitry Rogozin, il vice primo ministro del governo russo incaricato di sovrintendere l’industria della difesa, racconta spesso storie e aneddoti sul periodo trascorso come ambasciatore alla NATO. Tra i suoi preferiti, racconta in un articolo Der Spiegel, c’è una battuta che giura di aver sentito più volte ripetere dai suoi colleghi occidentali: «In questi giorni gli ottimisti imparano l’inglese, i pessimisti il cinese e i realisti imparano a usare un AK-47».  L’AK-47 è il fucile d’assalto realizzato nel 1947 da Michail Timofeevič Kalašnikov, militare nell’Armata Rossa dell’Unione Sovietica. Nonostante sia una delle armi più diffuse al mondo, l’industria che lo produce è in crisi e ci sono incertezze sul suo futuro.

Di recente Rogozin ha visitato la fabbrica della Izhmash nella città di Izhevsk sui monti Urali. Ai lavoratori, preoccupati per le sorti del loro lavoro, ha riferito che l’AK-47 è molto utilizzato anche dall’esercito americano (anche se di solito il Congresso degli Stati Uniti preferisce acquistare le armi di fabbricazione nazionale) e che l’anno scorso le vendite tra i collezionisti privati sono aumentate del 50 per cento. Ma le parole del vice ministro sono il sintomo di una crisi iniziata ormai da qualche anno.

Il ministero della difesa russo, il più grande acquirente di Kalashnikov, dall’autunno scorso ha interrotto le ordinazioni. Il capo dell’esercito ha detto che i depositi delle armi del paese sono già pieni e la domanda è stata superata di 12 volte. A suo parere l’AK-47 è un’arma ormai obsoleta, perché l’epoca delle grandi guerre è finita e per tenere sotto controllo le rivolte locali sarebbe meglio dotarsi di armi di precisione. Entro il 2015 è prevista la distruzione di 400mila Kalashnikov.

Le cose vanno male nella fabbrica di Izhevsk. Dalla primavera scorsa la società fondata da Alessandro I 200 anni fa, per la produzione di moschetti per la guerra contro Napoleone, è in rosso. La produzione si è dimezzata, la società, che ha debiti per circa 136 milioni di dollari, ora è sotto il controllo di una grande azienda a partecipazione statale. Un altro motivo della crisi è che il mercato mondiale è invaso dalle imitazioni: l’AK-47 è stato clonato in quasi tutti i continenti, con fabbriche in Bielorussia, Bulgaria, Romania e Serbia, nei paesi africani e in Cina. E molti modelli sono più economici dell’originale russo.

La società per non fallire definitivamente ha cercato di differenziare l’offerta, iniziando a produrre armi sportive e per la caccia. Una di queste è la Saiga, una versione “civile” del Kalashnikov che sta vendendo molto negli Stati Uniti. Il modello è stato creato nel 1970 per la caccia alle saighe, antilopi (ora in via di estinzione) originarie delle steppa del Kazakistan. Ma anche se le vendite negli Stati Uniti vanno bene, si tratta ancora di una nicchia. L’unica consolazione per i produttori russi è che sul mercato americano non devono temere la concorrenza cinese: dal 1994 l’importazione di armi dalla Cina agli Stati Uniti è illegale.

Una speranza ancora c’è. Il nuovo modello, l’AK-12, viene descritto come «una meraviglia». È dotato di un puntatore laser, un lanciagranate e un dispositivo per la visione notturna. Può sparare sia colpi singoli che a raffica e può portare 60 cartucce. Alcuni giornalisti russi sostengono però che si tratta di un “bluff”,  nulla più che una rivisitazione del vecchio modello. Resta da vedere se piacerà ai responsabili dell’esercito russo. Ai dirigenti della Izhmash non rimane che concentrarsi su una questione che i proprietari della fabbrica ammettono di aver trascurato per anni: la promozione del marchio. La città di Glasov produce una vodka che si chiama Kalashnikov e viene venduta in enormi bottiglie a forma di fucile. Ci sono versioni giocattolo dell’AK-47, una società tedesca a Solingen ha acquistato i diritti per produrre orologi e ombrelli. E si parla anche di una linea di abbigliamento.

A più di 60 anni dalla sua creazione e con 100 milioni di esemplari in tutto il mondo, il fucile automatico russo è diventato un simbolo. È nello stemma di Timor Est, dello Zimbabwe e nella bandiera del Mozambico, dove è accostato a una zappa. Eppure non è una meraviglia tecnica, e viene descritto come «la Volkswagen del mercato delle armi, non la Porsche: semplice, robusto e indistruttibile». E funziona con qualsiasi condizione climatica. Il giornalista americano Christopher Chivers che scrisse “The Gun”, la storia dell’arma, descrisse l’AK-47 e la bomba atomica come «una coppia, spaiata ma fatale» e scrisse che «la bomba atomica ha congelato i confini e ha scoraggiato tutti gli eserciti d’Europa a intraprendere una guerra, contribuendo a creare le condizioni in cui il Kalashnikov sarebbe diventato uno strumento fondamentale per le violenze nelle zone di conflitto».

Mikhail Kalashnikov a Izhevsk per il 55esimo anniversario dell’AK-47 Foto:Oleg Nikishin/Getty Images