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Le Olimpiadi e Twitter

Otto storie di proteste, prese in giro, errori, polemiche e razzismo che sono passate dalla più grande novità concreta di questa edizione dei Giochi

Ogni edizione delle Olimpiadi passa alla storia per le imprese sportive e i record degli atleti e, meno spesso, per disordini e imprevisti. Con ogni probabilità queste Olimpiadi passeranno alla storia anche come le prime in cui i social network, e soprattutto Twitter, abbiano avuto un ruolo significativo in più di un episodio, complice la loro grande diffusione anche tra gli atleti in gara.

Di norma gli atleti usano i social network per ricevere – e ritwittare, spesso – complimenti e incoraggiamenti da parte dei tifosi, per esprimere pareri sulle loro gare e quelle dei loro colleghi, per pubblicare foto di allenamenti e momenti di vita privata. In alcuni casi però i tweet sono andati al di là degli eventi olimpici e hanno creato qualche problema. Anche per questo il CIO (Comitato Internazionale Olimpico) aveva promosso una rete, The Olympics Athletics Hub, per connettere gli atleti e i propri follower, ponendo limitazioni e regole che sono state inoltrate a tutti i paesi partecipanti. Il CIO ha scritto in un regolamento che «i tweet devono essere in prima persona, in un formato stile diario e non giornalistico – ovvero non devono riportare fatti su concorrenti o commenti sulle attività degli altri partecipanti o persone accreditate, o rivelare nessuna informazione confidenziale o privata in relazione ad altre persone e all’organizzazione».

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È stato proibita la pubblicazione di video, le foto si possono pubblicare tranne quelle scattate nel villaggio olimpico (divieto aggirato innumerevoli volte dagli atleti). Ogni paese ha avuto comunque autonomia nel gestire i propri atleti: alcuni hanno lasciato più libertà di altri, alcuni hanno vietato proprio di twittare. La federazione dell’hockey britannica, per esempio, ha proibito agli atleti di twittare nelle quattro ore che precedono la gara e nelle due successive. Un provvedimento probabilmente troppo restrittivo, ma qualcuno avrebbe fatto meglio a rispettarlo. Di seguito alcuni di questi casi: sono storie molto diverse, non tutte ugualmente gravi (alcune non lo sono affatto), ma tutte hanno messo in imbarazzo le federazioni sportive nazionali o il CIO.

Voula Papachristous – Grecia

«Con così tanti africani in Grecia le zanzare del Nilo occidentale mangeranno cibo fatto in casa»

Prima dell’inizio dei Giochi c’è stato il caso di Voula Papachristous, campionessa greca di salto triplo indoor, squalificata dal CIO per una battuta contro gli immigrati e per aver espresso sostegno al partito greco di estrema destra Alba Dorata. Papachristou aveva ironizzato sull’arrivo ad Atene di zanzare dall’Africa occidentale, spesso portatrici del virus del Nilo occidentale. Il CIO ha squalificato l’atleta spiegando che le sue dichiarazioni erano «contrarie ai valori e alle idee dello spirito olimpico».

Michel Morganella – Svizzera

Il secondo atleta che ha dovuto abbandonare le Olimpiadi a causa di un tweet è stato Michel Morganella, difensore della squadra di calcio svizzera, dopo la sconfitta della squadra contro la Corea del Sud per 2-1 nella seconda partita del girone eliminatorio. Nel suo tweet Morganella ha definito i sudcoreani «mentalmente ritardati». La Svizzera ha obbligato il calciatore – che gioca nel Palermo – ad abbandonare i Giochi, nonostante in un altro tweet Morganella si fosse detto dispiaciuto per quanto scritto perché «preso dalle emozioni».

Yomna Khallaf – Egitto

La nuotatrice egiziana Yomna Khallaf ha scritto sul suo account che i borsoni della sua squadra avevano il marchio Nike ma la zip aveva il simbolo del marchio Adidas, svelando così che i prodotti erano contraffatti. Dopo aver segnalato la cosa gli atleti hanno dovuto pagare 300 euro a testa per avere i prodotti originali. Mahmoud Ahmed Ali, presidente del comitato olimpico egiziano, ha detto in una prima intervista di aver comprato i prodotti da un rappresentante Nike e di non essere in grado di distinguere l’originale dal falso. Poi ha cambiato versione e in un’altra intervista ha spiegato di aver acquistato la merce di un’azienda cinese a causa della situazione economica egiziana.

Sanya Richard-Ross – Stati Uniti

Gli atleti hanno usato i loro account Twitter anche per chiedere alcuni cambiamenti al CIO sui regolamenti. Soprattutto contro la “regola 40”, che vieta di portare sponsor personali ai Giochi di Londra 2012. La prima a protestare è stata Sanya Richard-Ross, atleta statunitense e vincitrice di una medaglia d’oro alle Olimpiadi nei 400 donne. Sanya Richard-Ross ha spiegato il suo tweet dicendo che «molti atleti faticano per praticare sport e non hanno sostegni economici, molti sono costretti a fare un secondo o un terzo lavoro». Per questi atleti gli sponsor personali alle Olimpiadi sono una preziosa occasione per mettere da parte qualche soldo, da usare poi per allenarsi in tranquillità. La discussione sul tema si può seguire attraverso lo hashtag #WeDemandChange2012.

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