Una delle regole della Carta olimpica – cioè le linee guida che regolano le Olimpiadi – vieta agli atleti e ai paesi in cui si svolgono i Giochi di manifestare e esprimere sostegno verso qualsiasi tipo di propaganda politica, religiosa o di discriminazione razziale. L’obiettivo è garantire la priorità assoluta alla competizione sportiva e allo spirito olimpico, fatto di rispetto tra gli atleti e fratellanza tra i popoli indipendentemente dalle controversie tra gli stati. Nonostante queste intenzioni, è sempre stato molto difficile impedire alla politica di intrecciarsi in qualche modo alle gare olimpiche.
Sotto questo aspetto le ultime edizioni delle Olimpiadi sono state piuttosto tranquille. Nel 2008 alcuni gruppi per i diritti umani hanno chiesto agli stati di boicottare i Giochi di Pechino a causa dello scarso rispetto della democrazia in Cina, della repressione in Tibet e del sostegno a governi sanguinari come il Sudan e lo Zimbabwe, ma le richieste sono rimaste inascoltate. Le Olimpiadi di Londra finora hanno suscitato soltanto preoccupazione per la sicurezza – da alcuni considerata insufficiente – e polemiche sull’opportunità di rispettare o meno un minuto di silenzio per il 40esimo anniversario del Massacro di Monaco, quando undici atleti israeliani e un poliziotto tedesco vennero uccisi dai terroristi palestinesi di Settembre nero. Non ci sono state grosse minacce di boicottare i Giochi da parte di altri stati e gli atleti iraniani hanno acconsentito a gareggiare contro quelli israeliani, cosa che non accadde né ad Atene 2004 né a Pechino 2008 (la scelta può essere stata facilitata dalla mancanza di scontri diretti tra gli atleti dei due paesi).
Il caso più degno di menzione è quello di Guor Marial, un maratoneta nato nel sud del Sudan: il suo stato si è dichiarato indipendente da appena un anno e non si è ancora dotato di un Comitato olimpico nazionale. Marial ha però rifiutato di correre con i colori del Sudan dato che militari sudanesi uccisero gran parte della sua famiglia quando aveva 14 anni, e gareggerà quindi con lo status di atleta indipendente.
(Il maratoneta senza bandiera)
In passato però non è stato sempre così: durante le Olimpiadi ci sono state manifestazioni contro la discriminazione, bandiere bruciate, partite violente tra paesi rivali, boicottaggi e attacchi terroristici. Katie Cella racconta su Foreign Policy le otto edizioni delle Olimpiadi più politicizzate e controverse, dal 1896 a oggi.
Londra 1908 – Regno Unito
Fu la quarta olimpiade dell’era moderna e la prima a iniziare con una cerimonia di apertura. Durante la cerimonia i portabandiera di ogni nazione avrebbero dovuto abbassare la bandiera in segno di rispetto mentre sfilavano davanti al palco reale in cui si trovava re Edoardo VII. Ralph Rose, un lanciatore del peso, sfilava con la bandiera statunitense e quando arrivò il suo turno di passare davanti al re non la abbassò. Si racconta che il leggendario lanciatore del peso americano Martin Sheridan avesse commentato dicendo che la bandiera americana «non si inchina davanti a nessun monarca al mondo». Da allora gli atleti statunitensi non abbassano la bandiera davanti al leader del paese ospitante.
La tensione tra Stati Uniti e Regno Unito saltò fuori anche durante la maratona: il corridore italiano Dorando Pietri stava per tagliare il traguardo ma era allo stremo delle forze e all’arrivo venne sostenuto da due arbitri. Dopo di lui arrivò il maratoneta Johnny Hayes. Gli ufficiali di gara britannici e statunitensi discussero per oltre un’ora se squalificare o meno Pietri, che aveva evidentemente violato il regolamento visto l’aiuto ricevuto da terzi. Alla fine Pietri venne squalificato e Hayes vinse la medaglia d’oro.

Dorando Pietri taglia il traguardo sorretto dai giudici di gara (Hulton Archive/Getty Images)
Sempre in quell’edizione dei Giochi la Finlandia, all’epoca sotto la dominazione russa, preferì sfilare alla cerimonia di apertura senza una bandiera piuttosto che portare quella della Russia. Gli atleti dell’Irlanda del Nord boicottarono i Giochi per rivendicare l’indipendenza dal Regno Unito.
Berlino 1936 – Germania
Fu l’edizione organizzata nella Germania nazista di Adolf Hitler, con le svastiche e il saluto nazista negli stadi. Hitler voleva usare le Olimpiadi per mostrare al mondo la potenza della Germania e la superiorità della razza ariana, ma fu proprio a Berlino che nacque il mito di Jesse Owens, il corridore afro-americano premiato con quattro medaglie d’oro. Si racconta che Hitler si rifiutò di congratularsi con lui durante la cerimonia di premiazione ma le cose andarono un po’ diversamente. Dopo il primo giorno di gare Hitler si era congratulato soltanto con i vincitori tedeschi rifiutandosi di incontrare anche l’atleta afro-americano Cornelius Johnson, che aveva vinto la medaglia d’oro nel salto in alto. Quando i funzionari del Comitato olimpico internazionale dissero a Hitler che si doveva congratulare con tutti i vincitori o con nessuno, lui scelse la seconda opzione e per questo non partecipò alla cerimonia di premiazione di Owens.

Soldati tedeschi fanno il saluto nazista durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Berlino (zu dapd-Text/Ap photo)
In seguito Owens disse di essere stato molto più mortificato dal presidente americano Franklin D. Roosevelt: «il presidente non mi mandò nemmeno un telegramma» per congratularsi della vittoria e non lo invitò alla Casa Bianca come si faceva di prassi con gli atleti olimpionici. Soltanto 19 anni dopo il presidente Dwight Eisenhower nominò Owens Ambasciatore dello sport.