I beni sequestrati ai Gheddafi

La Guardia di Finanza ha bloccato i fondi della famiglia con partecipazioni in ENI, Juventus, Finmeccanica e FIAT, alla base di molti rapporti economici tra Libia e Italia durante il regime

Ieri, mercoledì 28 marzo, il Nucleo tributario della Guardia di Finanza di Roma ha sequestrato le partecipazioni azionarie in Italia riconducibili alla famiglia di Muammar Gheddafi, il dittatore libico ucciso lo scorso 20 ottobre dopo una lunga e difficile guerra civile in Libia. Il valore complessivo delle partecipazioni sequestrate è di circa 1,5 miliardi di euro e interessa i fondi Liybian Investment Authority (LIA) e Liybian Arab Foreign Investment Company (LAFICO). Le due organizzazioni possiedono quote azionarie in alcune importanti società italiane e il sequestro è stato disposto dalla Corte di Appello di Roma su richiesta del Tribunale penale internazionale dell’Aia. L’obiettivo è utilizzare i fondi per emettere risarcimenti nei confronti delle vittime del regime di Gheddafi.

I due fondi hanno partecipazioni in diverse società italiane:

UniCredit (1,256 per cento), il fondo sovrano LIA entrò bella banca nel 1997 e progressivamente aumentò il proprio peso azionario.

ENI (1,01 per cento), sempre del fondo LIA, dimostra il particolare e stretto rapporto tra Libia e Italia per quanto riguarda il commercio di combustibili fossili. Eni in Libia ha costruito il gasdotto Greenstream, il più lungo mai realizzato nel Mediterraneo, che fa muovere otto miliardi di metri cubi di metano dalla Libia all’Italia ogni anno. Si stima che negli ultimi dieci anni la società abbia investito in Libia circa 50 miliardi di dollari.

Finmeccanica (2,01 per cento), la quota azionaria è detenuta da LIA e la società italiana negli ultimi anni ha vinto diversi appalti in Libia, come quello da 247 milioni di euro per la costruzione di una ferrovia.

Juventus (1,5 per cento), dei pacchetti azionari se ne è occupato il fondo LAFICO a partire dai primi anni del duemila.

FIAT (0,33 per cento) e Fiat Industrial (0,33 per cento), LAFICO iniziò a investire nella società italiana a partire dalla seconda metà degli anni Settanta e ne uscì nel 1986 realizzando una plusvalenza stimata intorno ai 2,6 miliardi di dollari. A partire dal duemila la Libia è tornata a investire in Fiat attraverso LIA.

Domenico Lusi e Carlo Marroni spiegano sul Sole 24 Ore le ragioni del sequestro:

La rogatoria internazionale che ha portato ai sequestri è stata emanata dal Tribunale dell’Aja nell’ambito del procedimento per crimini contro l’umanità nei confronti dello stesso Gheddafi, del figlio Saif Al Islam, arrestato lo scorso 19 novembre al confine tra Libia e Niger, e del capo dei servizi segreti e cognato di Gheddafi, Abdullah Al Senussi, anche lui arrestato. I beni messi sotto chiave dalle Fiamme Gialle erano stati già congelati in via provvisoria all’inizio dello scorso anno, dopo che due risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu e due regolamenti del Consiglio dell’Unione europea avevano richiesto alla comunità internazionale misure conservative su tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a Gheddafi o a soggetti a lui riconducibili. Ad aprile del 2011, su mandato del Tribunale dell’Aja, la Corte d’Appello di Roma ha incaricato la Guardia di Finanza di individuare beni mobili ed immobili, quote societarie e conti correnti in Italia riconducibili ai tre membri della famiglia Gheddafi. «Il 23 marzo, sulla base di quanto emerso dall’attività investigativa – spiega il colonnello del Nucleo tributario di polizia tributaria, Francesco Vizza – la Corte d’Appello di Roma ha emesso una serie di decreti che hanno portato ai sequestri eseguiti ieri nella capitale e a Torino, Milano, Brescia, Modena e Trapani. Il patrimonio degli imputati dovrà garantire forme di risarcimento per le vittime del regime di Gheddafi».

L’operazione di ieri ha portato anche al sequestro di diversi depositi e conti correnti per un valore di poco inferiore a un milione di euro. È stato disposto anche il sequestro di un immobile riconducibile alla proprietà dei Gheddafi a Roma, di 150 ettari di bosco a Pantelleria (Trapani), di alcune auto e moto.