Chi era Marco Biagi

La storia del giurista ucciso dieci anni fa e della legge che ha preso il suo nome

Il 19 marzo di dieci anni fa, il giuslavorista Marco Biagi fu ucciso dalle Nuove Brigate Rosse a pochi passi dall’ingresso della sua casa a Bologna. La sua morte, insieme con quella del giurista Massimo D’Antona tre anni prima, fece temere un ritorno del terrorismo di estrema sinistra nel nostro paese dopo gli anni Settanta: il nome di Marco Biagi poi è stato associato a una legge di riforma del mercato del lavoro, secondo alcuni rendendo onore al suo lavoro di studioso, secondo altri strumentalizzandola politicamente, secondo altri ancora tradendo le sue idee. Oggi Biagi viene ricordato con cerimonie e commemorazioni, mentre il governo è impegnato a rivedere e integrare proprio quelle politiche che contribuì a ideare.

Chi era Marco Biagi
Marco Biagi nacque a Bologna il 24 novembre del 1950. Conseguita la maturità classica, si laureò in Giurisprudenza iniziando poi a occuparsi di politiche del lavoro. A metà anni Settanta tenne alcuni corsi presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, dove dalla fine degli anni Ottanta divenne professore ordinario nel dipartimento di Economia Aziendale. Negli stessi anni assunse diversi incarichi accademici e in scuole di perfezionamento, diventando anche direttore scientifico dell’Istituto di ricerca e formazione della Lega delle cooperative.

Grazie ai propri studi comparati sul diritto del lavoro, nei primi anni Novanta iniziò a essere molto conosciuto e richiesto anche all’estero. Ottenne incarichi nelle istituzioni europee, coinvolgendo colleghi e altri studiosi sui temi del lavoro con approcci spesso innovativi e fuori dai tradizionali schemi della ricerca in materia. E proprio sulla scia dei propri studi, nel 1991 fondò il Centro Studi Internazionali e Comparati, che negli anni seguenti si sarebbe ampliato con l’arrivo di ricercatori e collaboratori per l’innovazione nel campo del lavoro e delle relazioni industriali.

Nel 1993 Biagi diventò membro di una commissione ministeriale di esperti, messa insieme per organizzare una riforma degli orari di lavoro in Italia. Negli stessi anni si fece conoscere anche all’esterno degli ambienti accademici, grazie alla sua collaborazione con alcuni quotidiani come Il Resto del Carlino, Italia Oggi e Il Sole 24 Ore. Nel 1995 divenne consigliere di Tiziano Treu, che all’epoca era ministro del Lavoro di un governo di centrosinistra, e l’anno seguente fu nominato a capo di una commissione per la preparazione di un testo unico sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.

Negli anni seguenti Marco Biagi collaborò con le istituzioni per la progressiva riforma del mercato del lavoro, attirandosi dure critiche da parte di chi si opponeva al cambiamento, specialmente quando divenne consulente dell’allora ministro del Lavoro Roberto Maroni (nel frattempo era arrivato al governo il centrodestra). Qualcosa di analogo si era verificato a fine anni Novanta con Massimo D’Antona, giurista e consulente del ministero del Lavoro, che fu ucciso nel 1999 da un commando brigatista con l’obiettivo di fermare il processo di riforma e ristrutturazione del mercato del lavoro.

L’omicidio
Sceso dal treno che lo aveva portato da Modena a Bologna, la sera del 19 marzo 2002 Marco Biagi montò in bicicletta per percorrere come d’abitudine il tragitto dalla stazione a casa sua. Ignaro di essere seguito da due brigatisti, che si occuparono di allertare i loro complici nei pressi della sua abitazione, il professore percorse normalmente la strada fino al portone di casa. Lì ad attenderlo trovò due brigatisti a bordo di un motorino che gli andarono incontro sparando sei colpi e allontanandosi poi velocemente. Pochi minuti dopo, nonostante gli sforzi degli operatori di un’ambulanza rapidamente arrivata in zona, Biagi morì a causa delle ferite riportate.

La rivendicazione
La sera stessa dell’omicidio decine di quotidiani e agenzie di stampa ricevettero una email contenente una rivendicazione da parte delle Nuove Brigate Rosse.

Un nucleo armato della nostra Organizzazione ha giustiziato Marco Biagi consulente del ministro del lavoro Maroni, ideatore e promotore delle linee e delle formulazioni legislative di un progetto di rimodellazione della regolazione dello sfruttamento del lavoro salariato, e di ridefinizione tanto delle relazioni neocorporative tra Esecutivo, Confindustria e Sindacato confederale, quanto della funzione della negoziazione neocorporativa in rapporto al nuovo modello di democrazia rappresentativa.

La rivendicazione si concludeva ricordando che l’omicidio si era reso necessario per attaccare “la frazione dominante della borghesia imperialista nostrana”, accusata dai brigatisti di voler governare la crisi e “il conflitto di classe” attraverso un accentramento dei poteri tesa a favorirla.

Senza scorta
Pochi mesi prima dell’attentato, il ministero dell’Interno – guidato all’epoca da Claudio Scajola – aveva deciso di revocare la scorta a Marco Biagi, che lo stesso aveva richiesto temendo attacchi da parte degli estremisti di sinistra. Spiegò di aver ricevuto minacce e inviò lettere a diversi esponenti politici per avere qualche forma di tutela. Durante il processo emerse che i brigatisti scelsero Biagi come obiettivo anche in virtù del fatto che non era più sotto scorta. Nell’estate del 2002 Scajola si dimise da ministro in seguito ad alcune sue frasi colte da alcuni giornalisti mentre era in una visita ufficiale a Cipro. Scajola disse che se ci fosse stata la scorta quella sera a Bologna i morti sarebbero stati tre, e che Biagi non era così centrale per la riforma del lavoro, ma più che altro “un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”.

Le condanne
I tre gradi di giudizio per l’omicidio Biagi si sono svolti tra il giugno del 2005 e la fine del 2007. In primo grado la Corte d’Assise di Bologna condannò a cinque ergastoli i componenti delle Nuove Brigate Rosse: Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi e Simone Boccaccini. In secondo grado a Boccaccini furono riconosciute le attenuanti generiche e la pena gli fu ridotta a 21 anni di reclusione. La Corte di Cassazione nel 2007 confermò la sentenza di secondo grado.

Il “Libro Bianco”
Biagi fu ucciso per le sue idee di riforma del mercato del lavoro in Italia, contenute nel Libro Bianco, un documento scritto insieme con Maurizio Sacconi e altri giuristi [pdf]. Il testo, presentato nell’ottobre del 2001 dal ministro del Lavoro dell’epoca, Roberto Maroni, conteneva un’analisi dell’ordinamento e un’ampia serie di proposte per modificarlo e recepire anche alcune indicazioni dell’Unione Europea sulla riforma del lavoro. Il documento prevedeva una serie di regole per lavoratori, datori di lavoro e per i sindacati. Ribadiva la necessità del dialogo tra le istituzioni e le cosiddette “parti sociali”, mantenendo le tutele per i lavoratori. Impegnava i sindacati a confrontarsi sui contratti in deroga ai contratti collettivi, prevedeva modifiche allo Statuto dei lavoratori compreso l’articolo 18, anche se non lo citava direttamente.

(Che cos’è l’articolo 18)

Il Libro Bianco annunciava anche l’intenzione del governo di modificare il sistema degli ammortizzatori sociali e di adottare nuovi sistemi per far emergere il lavoro nero. Sul fronte dei contratti veniva ricordato che “sembra utile introdurre una forma contrattuale denominabile lavoro a progetto”. La proposta si accompagnava a una serie di piani per rendere più flessibile il mercato del lavoro. Il testo prevedeva anche il varo “urgente” di nuove regole per la sicurezza sul luogo di lavoro.

La “legge Biagi”
È la legge n. 30 del 14 febbraio 2003, fu approvata quindi quasi un anno dopo la morte di Marco Biagi e viene comunemente indicata utilizzando il nome del giuslavorista, che ne fu uno degli ispiratori con il Libro Bianco. L’uso del nome di Biagi per definire la legge è stato di frequente contestato, perché le norme adottate non rispecchiano del tutto l’idea di riforma del lavoro che aveva in mente il giurista. La legge fu approvata dal secondo governo Berlusconi e ha costituito, nel bene e nel male, una delle più ampie riforme del mercato del lavoro degli ultimi tempi per il nostro paese insieme con il seguente decreto legislativo attuativo approvato nel settembre del 2003.

La legge parte dall’assunto che la flessibilità in ingresso, cioè per chi cerca e ottiene lavoro, sia il sistema migliore per creare nuova occupazione superando certe rigidità del mercato. Ha introdotto o modificato molte tipologie di contratti di lavoro tra apprendistato, lavoro interinale, intermittente, accessorio e contratti a progetto. Diversi principi esposti nel Libro Bianco sono confluiti nella nuova legge, che negli anni seguenti ha subito modifiche che ne hanno corretto o attenuato alcuni aspetti. Nei suoi primi anni di attuazione, la legge ha avuto il pregio di far ridurre il tasso di disoccupazione. Mancavano però un piano di riforma globale degli ammortizzatori sociali, cioè gli strumenti di sostegno del reddito per chi perde il lavoro o lo sta cercando, e una serie di misure volte a limitare gli abusi dei contratti cosiddetti precari, contribuendo così a creare quello che viene chiamato “dualismo del mercato del lavoro”: la separazione netta tra lavoratori “garantiti” e lavoratori privi di qualsiasi diritto, persino il più basilare (ferie, malattia, maternità).

(Cosa succede con la riforma del lavoro)

La cosiddetta “legge Biagi” è stata oggetto di numerose critiche negli anni della sua attuazione, specialmente per l’uso e l’abuso dei contratti co.co.pro (a progetto), che ha reso marginale il ricorso ai contratti di formazione lavoro. Questa condizione ha reso sì il lavoro più flessibile, ma al tempo stesso precario e privo di sufficienti garanzie per il lavoratore (la riforma in discussione in questi giorni da parte del governo mira a ridurre il problema, incentivando l’uso di sistemi flessibili che assicurino però un percorso professionale e che incentivino le aziende a rendere indeterminati i contratti, con una maggiore flessibilità in uscita). Il problema della precarizzazione ha interessato principalmente i giovani lavoratori, che non hanno potuto fare affidamento su sistemi per controbilanciarne i difetti come gli ammortizzatori sociali. Secondo i detrattori, la legge è quindi nata incompleta e con poche garanzie.

Ricordo
Per ricordare Marco Biagi si organizzano ogni anno cerimonie e incontri, dove si discute anche di lavoro e delle prospettive per l’impiego. In occasione del decimo anniversario della sua uccisione, oggi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ricorderà con altri membri delle istituzioni Marco Biagi durante una commemorazione a Montecitorio. Il Resto del Carlino, giornale con cui Biagi ha collaborato a lungo, organizza ogni anno un premio alla sua memoria. Il premio viene consegnato a organizzazioni e associazioni attive nel sociale.