L’errore del valore legale della laurea

Il ministro Piero Giarda ha spiegato in una lettera al Mattino perché il valore legale del titolo di studio genera disparità e ingiustizie

Oggi, in una lettera al quotidiano Il Mattino, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, ha spiegato perché il valore legale dei titoli di studio italiani è causa di varie ingiustizie, ad esempio nei concorsi pubblici e più in generale sul lavoro. Per Giarda, una soluzione potrebbe essere quella di «rimuovere gran parte del “valore legale”», vietando «l’utilizzo del voto di laurea come titolo (o ridurne al minimo il peso) e vietare avanzamenti di carriera per effetto della sola acquisizione della laurea».

Il valore legale del titolo di laurea è praticamente un unicum nel mondo accademico internazionale. Si tratta di una categoria filosofica con qualche risvolto pratico e di questi vale la pena discutere. Ce ne sono tre.
Il primo è costituito dal fatto che spesso nei contratti collettivi di lavoro, soprattutto per il settore pubblico, il conseguimento della laurea attiva un passaggio automatico di carriera o di livello retributivo. Non sorprende che in numerose facoltà e corsi di laurea si incontrino studenti avanti negli anni. Studenti che frequentano e sostengono esami nell’obiettivo di una laurea triennale da far valere per gli avanzamenti di posizione.

Il secondo è costituito dal fatto che spesso i concorsi pubblici hanno come prerequisito, per certe carriere, il possesso di una laurea; con un subalterno che in qualche caso è richiesto, per l’ammissione al concorso, un voto minimo di laurea.
Il terzo è che nei concorsi pubblici per titoli ed esami – ai quali si acceda solo con una laurea – spesso il voto di laurea costituisce titolo il cui peso nella valutazione complessiva dei titoli del candidato è a volte fissato dal bando di concorso, altre volte lasciato alla discrezionalità della commissione. Nel settore privato, invece, il possesso della laurea e il voto di laurea costituiscono solo un indicatore che l’impresa considera nelle scelte di assunzione.

Primi commenti. Sembra assai poco logico, oltre che molto inefficiente, che l’acquisizione di una laurea comporti automaticamente uno scatto di carriera o di retribuzione, mentre non c’è nulla di illogico che per l’accesso a certe posizioni o carriere nella pubblica amministrazione venga richiesta una particolare laurea. Restano da chiarire le questioni sull’utilizzo del voto di laurea come criterio per l’ammissione a prove d’esame di un concorso, oppure come titolo per il computo del punteggio che determina i vincitori di concorso. Tali questioni sono relative alle difformità degli ordinamenti nelle singole università che poi rilasciano titoli formalmente identici. È esperienza comune che i voti di laurea, anche per singoli indirizzi di studi o facoltà, siano tra di loro difficilmente confrontabili. Nella facoltà di economia dell’università X solo il 5 per cento degli studenti arriva al 110 e un altro 10 per cento si colloca tra il 100 e il 109. Nella stessa facoltà dell’università Y le percentuali sono del 15 e del 20 per cento. E’ molto improbabile che gli studenti di Y siano mediamente più intelligenti e preparati degli studenti di X. Il problema sono i professori, le tradizioni e le usanze: nell’università Y il sistema è più generoso. Lo stesso studente nelle due università X e Y avrebbe due voti di laurea molto diversi tra di loro.

(continua a leggere nella rassegna stampa del Senato)