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  • Martedì 24 gennaio 2012

La guerra in Libia non è finita?

I soldati fedeli a Gheddafi ieri hanno riconquistato la città di Bani Walid, il governo di transizione sta attraversando il suo periodo più difficile

MAHMUD TURKIA/AFP/Getty Images
MAHMUD TURKIA/AFP/Getty Images

A poco più di tre mesi dall’uccisione di Muammar Gheddafi, ieri almeno un centinaio di uomini a lui fedeli ha assaltato e conquistato ieri la città di Bani Walid, in Libia. Nell’attacco sarebbero stati uccisi almeno cinque combattenti dei ribelli anti Gheddafi, mentre i feriti sarebbero decine. Secondo alcune testimonianze, inoltre, sarebbero state issate in città le bandiere verdi simbolo del regime di Gheddafi. Sull’accaduto circolano comunque versioni contrastanti. Il ministro degli Interni libico Fawzi Abdelali ha smentito sino a poche ore fa l’attacco, parlando invece di «lotte interne» (c’è anche chi parla di una vendetta di matrice tribale). Altri importanti esponenti locali come Mubarak al Fatamni, a capo del Consiglio locale di transizione di Bani Walid, hanno smentito il ministro.

Bani Walid, a 140 chilometri a est di Tripoli, è sempre stata una roccaforte di Gheddafi e anche una delle ultime città a cadere alla fine dell’ottobre scorso. Già lo scorso novembre c’erano stati durissimi scontri tra ribelli e fedeli al vecchio regime. L’attacco di ieri è un brutto colpo per il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) libico presieduto da Mustafa Abdel Jalil, che recentemente ha incontrato parecchi problemi (tanto che Jalil è arrivato a parlare di guerra civile). Le ultime settimane sono state particolarmente complicate per il CNT, tanto che diversi governi europei ormai dubitano fortemente della sua autorità, soprattutto in termini di sicurezza.

Nelle ultime settimane sono cresciute sempre di più le proteste contro il governo di transizione, considerato da molti lento, poco trasparente, ingeneroso nei confronti dei combattenti libici e restio nel mettere da parte le figure governative e militari legate al regime di Gheddafi rimaste al loro posto. «Mica si può epurarli tutti», ha risposto Jalil, assicurando però che coloro che hanno commesso crimini gravi saranno sicuramente processati. Le proteste degli ultimi tempi, organizzate mediante sit-in e altre manifestazioni, si sono verificate soprattutto a Bengasi, la città da cui sono cominciate le rivolte contro Gheddafi, ma anche in altre città come Tripoli e Misurata. Sabato scorso si è verificato l’attacco più grave e violento, quando un gruppo di ribelli armati ha assaltato la sede del Consiglio nazionale di transizione, dove si trovava Jalil. In seguito all’assalto si è dimesso il vicepresidente del CNT, Abdel Hafidh Ghoga, uno degli esponenti del governo ad interim più contestati dai ribelli.

La causa dell’attacco sarebbe stata la pubblicazione online di una bozza di legge elettorale per la futura Assemblea costituente. Secondo i suoi critici, questo sistema danneggerebbe le nuove formazioni politiche a favore di figure locali e tribali ben radicate nelle singole zone. Tra l’altro un’altra bozza della stessa legge era già stata ritirata lo scorso 2 gennaio, perché avrebbe escluso dalle candidature i libici con doppia nazionalità: la cosa avrebbe impedito la candidatura dei cittadini fuggiti in esilio durante il regime di Gheddafi. L’elezione dell’Assemblea costituente è prevista a giugno e, come già visto in Tunisia, Marocco ed Egitto, il partito che fa riferimento ai Fratelli musulmani, sembra favorito.

Foto: MAHMUD TURKIA/AFP/Getty Images