Il ponte sullo Stretto, monumento nazionale

Il governo ha sospeso i finanziamenti a un'infrastruttura che non c'è ma che ha una storia secolare, racconta Mattia Feltri sulla Stampa

L’articolo di Mattia Feltri sulla Stampa di oggi, sul ponte sullo Stretto di Messina a cui il governo ha appena sospeso i fondi.

Ci avevano creduto soltanto gli australiani. Sulla guida turistica «Best in Travel 2012» della Lonely Planet (casa editrice di Footscray, sobborgo di Melbourne) si legge: «Visitate la Sicilia prima che sia troppo tardi: il ponte cambierà per sempre l’isola, che sarà invasa da Ferrari e Alfa Romeo». Prima che sia troppo tardi? In Italia non è mai troppo tardi e l’avvertenza è particolarmente superflua se si sta parlando di ponte sullo Stretto. Venerdì il Consiglio dei ministri ha infatti sospeso il finanziamento all’opera che doveva essere il monumento all’Italia berlusconiana: il buon Silvio cominciò a parlarne, con la luce negli occhi, durante la sua prima esperienza di governo nel 1994. E il progetto, come un tergicristallo, è tornato su ed riscivolato giù a stagioni alterne, per quasi un ventennio, a seconda se il centrodestra sedesse al governo o all’opposizione.

E dunque ieri una irriducibile nemica del ponte – la presidente del Wwf Calabria, Beatrice Barillaro – assaporava le bollicine del brindisi consapevole però che «al prossimo giro ci potrà essere una nuova sorpresa». Del resto ogni volta che un esecutivo postberlusconiano riseppelisce il progetto, i cronisti tornano a Reggio Calabria (o a Messina) a controllare se nel frattempo era stato scavato un buco o almeno un buchetto, e di buchi e buchetti non se ne vedono. Anche stavolta che Berlusconi aveva giurato di fare sul serio (e sicuramente sarebbe stato così, per carità), sia a Cannitello (versante continentale) sia a Ganzirri (versante insulare) non c’è che un sospiro malinconico dei sostenitori del gioiellone, ai quali non resta che disegnare col dito quello che poteva essere e non sarà. A essere precisi, spiegano i geologi calabresi, si era fatto qualche carotaggio utile a valutare la resistenza del terreno nei punti destinati ai piloni, si erano individuate le case da tirare giù – e anche questa è una costante: in tutto il Novecento sarà successo dieci volte almeno che qualche reggino o qualche messinese teoricamente si ritrovava senza tetto per le superiori ragioni del megaviadotto. E poi si era cominciato a lavorare a un’opera a margine: la variante ferroviaria di Cannitello.

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