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  • Domenica 1 gennaio 2012

Come vanno le cose in Yemen

Male: continuano gli scontri e le manifestazioni contro il presidente uscente Saleh, che rimane nel paese nonostante gli annunci, e Al Qaeda guadagna terreno

(AP Photo/Anees Mahyoub)
(AP Photo/Anees Mahyoub)

Nonostante l’annuncio delle dimissioni da parte del presidente uscente Ali Abdullah Saleh del novembre scorso, in Yemen la situazione è ancora molto tesa.

Il presidente uscente è ancora nel Paese, ma negli ultimi tempi ha annunciato di volersi recare negli Stati Uniti. Inizialmente, il trasferimento sembrava motivato dalla necessità di cure mediche dopo le conseguenze dell’attentato subito la scorsa estate. Poi però le sue parole sono state interpretate come una volontà di esilio più o meno volontario e gli Stati Uniti hanno subito mostrato un atteggiamento molto cauto nei confronti del loro ex alleato. Anche perché, secondo il Wall Street Journal, nei mesi scorsi Saleh avrebbe passato all’intelligence statunitense informazioni volutamente false su «presunti terroristi» per sbarazzarsi di alcuni oppositori politici. Così Saleh ha deciso di rimanere in Yemen, almeno per ora. E come ha fatto intendere il governo ad interim, non verrà processato per le accuse di aver ordinato l’uccisione di centinaia, se non migliaia, di manifestanti dallo scoppio della rivolta della scorsa primavera.

I suoi oppositori invece vogliono che Saleh venga processato al più presto, magari prima delle elezioni presidenziali previste per il prossimo 21 febbraio. Nelle ultime settimane hanno accusato anche i partiti di opposizione che sono andati al governo dopo che Saleh ha posto la sua immunità come condizione per lasciare. Negli ultimi giorni, i continui scontri tra attivisti e forze di sicurezza hanno provocato molte vittime: i più gravi si sono verificati il 24 dicembre scorso, quando le truppe governative hanno sparato su una folla di manifestanti nella capitale Sana’a, uccidendo almeno 9 persone. Nella circostanza, i manifestanti avevano organizzato una marcia di protesta contro Saleh di oltre 270 chilometri, da Taizz (nel sud del Paese) a Sana’a.

Rimane poi l’incognita molto temuta degli estremisti islamici e in particolare del braccio yemenita di Al Qaeda, chiamato “Al Qaeda nella penisola arabica” (AQAP). Nell’attuale situazione di incertezza, i fondamentalisti stanno cercando di acquistare sempre più peso, soprattutto nelle loro roccaforti al sud del paese, che i più oltranzisti vorrebbero rendere uno stato autonomo dallo Yemen, dividendolo alla stregua di qualche decennio fa. Ieri, proprio gli estremisti islamici hanno bloccato con la forza nel sud una marcia della pace di circa 50 chilometri, da Aden a Zinjibar, organizzata dagli attivisti per la democrazia, contro Al Qaeda e il regime di Saleh. Alla manifestazione hanno partecipato decine di migliaia di persone. Proprio a Zinjibar, città da maggio sotto il controllo degli estremisti, ieri due soldati e due presunti membri di al Qaida affiliati al gruppo estremista “’Partigiani della Sharia” sono morti dopo violenti combattimenti.

Per scongiurare lo spettro della guerra civile, la netta separazione tra esercito e milizie tribali era stato uno dei passaggi chiave del piano della Lega Araba per le dimissioni di Saleh, piano supportato in primis dall’Arabia Saudita che teme più di tutti il disfacimento dello Yemen. Per questo, i sauditi hanno recentemente offerto petrolio a prezzo scontato e altre agevolazioni al nuovo governo yemenita ad interim guidato dal premier Mohammed Salem Basindwa. La povertà sempre maggiore, le istituzioni ancora più fragili e corrotte di un anno fa, la mancanza di cibo e il grande numero di sfollati nel Paese (circa 400mila, secondo alcune stime dell’ONU) sono motivo di grande preoccupazione per le autorità yemenite e all’estero. Al Qaeda, seppur decimata dagli ultimi mesi dalla morte di Bin Laden e dai droni americani che hanno ucciso il suo più grande esponente in Yemen, Anwar al Awlaki, attualmente mantiene comunque nel sud del Paese il suo braccio più pericoloso.

Nella foto: una manifestazione di ieri a Taizz, Yemen (AP/Anees Mahyoub)