L’intervista di Napolitano al Corriere della Sera

Bilancio orgoglioso dei festeggiamenti per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, e consigli di libri e saggi sulla storia nazionale

Il Corriere della Sera pubblica oggi un’intervista di Marzio Breda a Giorgio Napolitano. Un’intervista che sembra un anticipo del rituale messaggio di fine anno: niente attualità politica ma riflessioni sul centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, sulle celebrazioni e le critiche, e utili consigli su libri e saggi e ricerche per chi vuole documentarsi sul tema.

In una pagina de La provincia dell’uomo , Elias Canetti sosteneva che «quando tutto va in pezzi, il calendario con i suoi giorni particolari resta l’unica e l’ultima sicurezza». Vale a dire che cercar riparo nel calendario per rivivere certi anniversari (e ciò vale per le paranoie di un singolo individuo come di un intero popolo) serve ad «assorbire la paura». E oggi di paura e incertezza ce n’è molta, nell’Italia che ha appena festeggiato i suoi 150 anni di unità. Non a caso i sociologi la fotografano come depressa, esausta e, appunto, impaurita. Una descrizione che si fonda su buone ragioni. Basta pensare a quanto ci hanno messo sotto stress le esasperate prove di forza in Parlamento, i collassi dell’economia, le ferite all’immagine internazionale del Paese, la caduta di Berlusconi e la nascita del governo Monti come soluzione d’emergenza per una politica in affanno. E, infine, i duri sacrifici imposti dalla manovra per dissipare lo spettro del default.

È dunque un Natale carico di inquietudini, quello che arriva. Ma, nonostante tutto, Giorgio Napolitano non si arrende alla sfiducia. Le sfide e i rischi che ci stanno davanti sono superabili, dice, «con l’arma vincente della coesione sociale e nazionale». Un’arma che, nei momenti difficili, gli italiani hanno sempre dimostrato di saper ritrovare. Quindi, «ce la faremo, usciremo dal tunnel». Ne è tanto più convinto, il capo dello Stato, dopo che nel suo viaggio dentro la memoria del Paese ha riconosciuto nella risposta della gente vaste e salde tracce di quel «cemento unitario» in grado di offrire speranza. A lui e a noi.

Ne parla mettendo da parte gli appunti per il prossimo messaggio di fine anno dal Quirinale, la camera di compensazione della crisi. E tracciando un bilancio di questa esperienza (più culturale che politica) che un po’ lo ha stupito. Spiegando come – da Quarto a Marsala, da Reggio Emilia a Napoli, da Bergamo a Palermo, a molti altri luoghi – sia riuscito a costruire un «racconto nazionale» in grado di convincere gli italiani a essere fedeli a se stessi. Italiani che, a suo avviso, erano comunque «già pronti a reagire positivamente», unendo le forze e ripartendo dal passato per guardare a un nuovo orizzonte.

Eppure, gli chiediamo, alla vigilia delle celebrazioni qualche segnale fece temere che la guerriglia politica di cui siamo ostaggi contagiasse l’anniversario, facendo prevalere diserzioni e polemiche. Si recriminò perfino sulla proclamazione del 17 marzo «festa della Nazione». Insomma: c’era chi profetizzava il fallimento tout court di quanto era stato messo in cantiere. Ora, a un anno di distanza, le cose sono andate inaspettatamente bene anche grazie a una miriade di iniziative spontanee. E, come lei ha detto, ciò rappresenta «una lezione secca per gli scettici». Come è stato possibile, Presidente? Che cosa ha prodotto questo scatto di coesione, «dignità e orgoglio nazionale» in un popolo sempre in deficit di autostima e diviso? A quali riserve di sentimenti, cultura, capitoli storici e valori simbolici (evidentemente interiorizzati in profondità, nonostante tutto) abbiamo attinto a dispetto di tanta sfiducia?

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