Gli interventi inevitabili sulle carceri

Carlo Federico Grasso sulla Stampa commenta i primi provvedimenti presi dal ministro della Giustizia sul sovraffollamento carcerario, e quelli che verranno (verranno?)

Carlo Federico Grosso sulla Stampa commenta i primi interventi del ministro della Giustizia Paola Severino sulle carceri, e gli altri che potrebbero arrivare.

Paola Severino ha annunciato che cercherà di fare approvare, già al Consiglio dei Ministri di domani, un decreto-legge destinato a ridurre il sovraffollamento carcerario: dovrebbe trattarsi dell’allungamento a 18 mesi del periodo residuo di pena che, con alcune limitazioni, un detenuto può scontare agli arresti domiciliari anziché in carcere. Tale provvedimento, secondo i calcoli, dovrebbe determinare la scarcerazione immediata di 3000-3500 detenuti.

A tale decreto dovrebbe seguire un disegno di legge che, sempre nell’ottica di una riduzione del numero dei detenuti, dovrebbe allargare l’ambito delle pene alternative, estendere l’utilizzo dell’affidamento in prova, procedere alla depenalizzazione di alcuni reati.

Tra le misure immediate non vi sarà tuttavia il «braccialetto elettronico», poiché, ha soggiunto il ministro, non è stata ancora acquisita la certezza del suo funzionamento e la ragionevolezza dei suoi costi.

In linea di principio questo programma è condivisibile. Appare giusto utilizzare, quando non vi siano controindicazioni, gli arresti domiciliari quale alternativa al carcere nel periodo finale dell’esecuzione penale; è condivisibile pensare ad uno sfoltimento dei reati con la depenalizzazione degli illeciti di minore allarme sociale; è sacrosanto ipotizzare una vasta gamma di pene alternative (gli stessi arresti domiciliari utilizzati quale pena irrogabile in luogo della reclusione, il lavoro a favore della collettività, le interdizioni da un’attività o da una professione, un complesso articolato di pene pecuniarie proporzionate alla capacità economica del reo).

Appare, d’altronde, altrettanto ragionevole una pausa di riflessione nei confronti del cosiddetto «braccialetto». Esso, introdotto da tempo fra gli strumenti ai quali affidare l’esecuzione della pena, non ha, fino ad ora, dato i frutti sperati. Il suo impiego è risultato costoso e soprattutto poco affidabile (diversi milioni pagati per circa 400/450 braccialetti di tecnologia obsoleta e quindi poco efficienti). Di qui, pertanto, l’opportunità di valutare se e come proseguire nell’esperienza, tanto più che la convenzione stipulata a suo tempo fra ministero dell’Interno e Telecom per la gestione di tale partita è in scadenza, e si presenta, di conseguenza, una rilevante opportunità per risparmiare.

(continua a leggere sul sito della Stampa)