Il pacco bomba nella sede di Equitalia

Carlo Bonini ricostruisce oggi su Repubblica la storia dell'esplosione di ieri e della Federazione Anarchica Informale

Carlo Bonini si occupa oggi su Repubblica del pacco bomba esploso ieri a Roma presso la sede di Equitalia, ferendo il direttore generale Marco Cuccagna. Un altro plico esplosivo, diretto all’amministratore delegato della Deutsche Bank, Josef Ackermann, è stato disinnescato, mentre un terzo pacco bomba sarebbe già in viaggio verso un obiettivo per ora sconosciuto. Bonini ripercorre la storia del gruppo anarchico, che dal 2003 organizza attentati di questo tipo:

La firma – si è detto – è “Federazione Anarchica Informale”. Con l’indicazione di una sedicente “cellula italiana Eat e Billy”. Dove Eat e Billy indicano i “compagni prigionieri del Fai della cellula Indonesia”. Entrambi – stando alle informazioni che gli uomini della Digos della Polizia e del Ros dei carabinieri hanno ottenuto in queste ore da “fonti aperte” accessibili sulla Rete – detenuti a Giacarta, dopo aver dato alle fiamme un bancomat della “BRI bank”, rivendicando l’azione a nome di tale Luciano Tortuga, «combattente anarchico ferito in Cile nello scontro internazionale con il capitalismo e la gerarchia».

I tre pacchi bomba sono partiti dall’Italia anche se non è ancora stato individuato con certezza da quale città. Lo indica il volantino di rivendicazione e la busta recapitata alla Deutsche di Francoforte, affrancata con francobolli del nostro Paese e con mittente gli uffici della locale sede della Bce. Dall’annullo postale sembrerebbe leggersi Milano. Ma il dettaglio (che pure con il passare delle ore trova conferme) non cambia la sostanza. Dal dicembre 2003 in avanti, infatti, la sigla “Fai”, i suoi sedicenti militanti, come del resto i suoi obiettivi (in quell’anno l’abitazione bolognese dell’allora presidente della Commissione Europea, Romano Prodi), hanno avuto come loro perimetro di fuoco l’Italia, sia pure in un dichiarato contesto “internazionalista”.

Fino a rendere chiaro – come è andata ripetendo la nostra Antiterrorismo in questi anni – che il Fai altro non è che «una sigla senza padroni, un brand usato in franchising». Dalla riconoscibile impronta anarchica, nel modo di colpire e per il tenore delle rivendicazioni, ma, di fatto, «politicamente assai rozza, nel linguaggio e nella scelta degli obiettivi». Dunque, utile a rivendicare qualunque gesto di violenza politica genericamente attribuibile all´insurrezionalismo. «Ammesso che il Fai abbia una struttura – chiosa una fonte investigativa – siamo nell’ordine di qualche decina di elementi. Forse addirittura meno».

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