L’ICI e la Chiesa

È vero che basta mettere una cappella in un albergo per far acquisire all’immobile l'esenzione dall'ICI? La risposta è no

Mario Berlanda sul sito dei Mille affronta il popolare tema dell’esenzione dell’ICI e degli immobili della Chiesa, approfondendo ulteriormente la discussione.

E’ vero che basta inserire una cappella in un albergo gestito da un ente religioso per far acquisre all’immobile l’esenzione da ICI? O che un negozio, un terreno o un qualsiasi appartamento di proprietà di questa categoria di enti sia esente da ICI?

Parlando di “privilegi ICI della Chiesa” la prima cosa che occorre conoscere è il testo (1) dell’art. 7 del decreto istitutivo dell’ICI, che è la principale fonte normativa sull’argomento, ancorché non l’unica, considerata l’autonomia impositiva dei Comuni in materia.

La prima osservazione che emerge dalla semplice lettura del testo è che esistono due categorie di esenzioni: una prima categoria raggruppa le esenzioni di carattere “soggettivo” (dipendenti cioè dall’identità del soggetto proprietario degli immobili); un altro gruppo di esenzioni ha invece carattere “oggettivo” e sono disposte in relazione agli utilizzi degli immobili, eventualmente abbinati a requisiti “di garanzia” riconducibili alla natura dei soggetti proprietari.

La prima categoria di esenzioni comprende quelle che riguardano:

gli immobili di cui alla lettera a), di proprietà dello Stato, degli enti locali ecc.;

gli immobili di cui alla lettera e), di proprietà della Santa Sede (concretamente si sta parlando di alcune basiliche romane, di Castel Gandolfo, dell’Università Gregoriana e di alcuni altri immobili, importanti in sé, ma molto limitati nel numero);

gli immobili di cui alla lettera f), di proprietà di Stati Esteri e di organizzazioni internazionali, per questioni di reciprocità di trattamento fiscale in conformità con quanto previsto dai trattati internazionali.

La seconda categoria di esenzioni comprende invece, perlomeno ai fini che qui interessano, quelle che riguardano:

– gli immobili di cui alla lettera d), destinati all’esercizio del culto;

– gli immobili di cui alla lettera i), che interessa gli immobili di proprietà di enti non profit utilizzati per attività aventi una qualche forma di rilevanza sociale.

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la questione di cui in genere si dibatte non è tanto legata all’esenzione di cui alla lettera e) (immobili direttamente di proprietà della Santa Sede); questi immobili infatti, oltre ad essere molto limitati nel numero – e quindi irrilevanti sul piano del gettito – sono comunque di proprietà di un soggetto che, tecnicamente, è uno Stato estero e quindi, anche in caso di decadenza della specifica esenzione, varrebbe comunque quella di cui alla lettera f), legata all’ordinamento tributario internazionale; o comunque si tratta in gran parte di basiliche (quindi destinate al culto) o atri edifici cui può essere attribuita anche un’esenzione di carattere oggettivo.

La questione non è neppure legata all’esenzione di cui alla lettera d) (edifici destinati al culto, di qualsiasi confessione religiosa riconosciuta), esenzione che pare essere pacificamente accettata da tutti e che vale, per esempio, anche per le moschee, le sinagoghe o le chiese dei valdesi; forse, riguardo a questa esenzione, sarebbe peraltro opportuno definire meglio i contorni di cosa sia un edificio destinato esclusivamente all’esercizio del culto, perché se la cosa è chiara fintanto che si parla di chiese ecc., quando di parla di conventi la realtà è quantomeno più opinabile, vista la natura anche di carattere residenziale di parte degli spazi.

La questione centrale riguarda invece l’interpretazione da dare, o le modifiche da apportare, all’esenzione disposta, a favore di tutti gli enti non profit (si badi bene, non solo a favore di quelli di ispirazione religiosa e tantomeno solo a favore di quelli di ispirazione cattolica), dalla lettera i) dell’art. 7, che riguarda gli immobili di proprietà di enti non profit utilizzati per attività aventi una qualche forma di rilevanza sociale.

Prova del fatto che la questione principale sia questa è data, oltre che dalla comune percezione di chiunque abbia un minimo di conoscenza della materia e della realtà sulla quale la norma interviene, anche dalla frequenza degli interventi normativi che si sono susseguiti, sul punto, negli ultimi anni.

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