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  • Domenica 27 novembre 2011

La violenza dei tifosi in Argentina

Oltre 250 persone sono morte nella storia del calcio argentino a causa dei barra bravas, che allo stadio firmano autografi

(AP Photo/Tony Valdez, DYN, File)

(AP Photo/Tony Valdez, DYN, File)

Se l’Inghilterra è riuscita a sradicare il fenomeno degli hooligan dai propri stadi, l’Argentina è ancora molto lontana da una soluzione. IlNew York Times pubblica oggi un ampio articolo sulla violenza che ruota intorno al calcio argentino. Uno dei primi episodi risale alla Coppa America del 1924, quando in una rissa tra tifosi argentini e uruguaiani venne ucciso un tifoso di Montevideo. Da quel giorno, l’Argentina ha sviluppato una sanguinosa storia di violenza calcistica che si è aggravata negli anni Cinquanta e che oggi occupa molto spesso i titoli dei giornali. In quasi novant’anni, 257 persone sono morte in Argentina per motivi legati al calcio. La metà di questi omicidi, a dimostrazione della gravità della situazione attuale, sono avvenuti negli ultimi venti anni.

Gli ultras violenti in Argentina si chiamano barra bravas. Come scrive il NYT, parallelamente alla violenza della società argentina, è cresciuta anche la rabbia di questi tifosi sui generis, che operano come «piccole mafie», picchiano dentro e fuori dagli stadi e praticano affari illegali, come lo spaccio di droga, spesso con la complicità della stessa polizia. Proprio poche settimane fa c’è stata una delle aggressioni più clamorose: alla vigilia della partita contro il Newell’s OId Boys (l’ex squadra di Diego Armando Maradona e Lionel Messi) il difensore del San Lorenzo de Almagro, Jonathan Bottinelli, è stato aggredito durante l’allenamento da alcuni ultras della sua squadra che lo accusavano di scarso impegno e di una sua potenziale dipartita dal club. Alle autorità i giocatori hanno fatto il nome del leader dei barra bravas del San Lorenzo, Cristian Evangelista, che avrebbe coordinato l’attacco, ma hanno taciuto sugli altri aggressori. Tra l’altro, l’allenatore del San Lorenzo Omar Asad (esonerato pochi giorni fa) è stato accusato dalla squadra di essersi «lavato le mani». La partita tra le due squadre è stata rinviata.

Ma questo episodio è di gravità minore rispetto a quello che accade quasi ogni giorno intorno al calcio in Argentina. Per un decennio (fino allo scorso agosto) sono state vietate in ogni serie, esclusa quella massima, la Primera División, tutte le trasferte dei tifosi che, come accade in Italia, devono attendere almeno mezz’ora nello stadio della squadra avversaria per uscire. Ma spesso sono proprio i tifosi di casa a causare i danni peggiori, come avvenuto l’anno scorso dopo la storica retrocessione di uno dei club più prestigiosi d’Argentina, il River Plate di Buenos Aires, quando i barra bravas hanno messo a ferro e fuoco il loro stadio. Nel 2007 la stessa cessione del bomber del River, Gonzalo Higuaín, al Real Madrid per “soli” 13 milioni di euro, ha causato la morte di un altro ultras, Gonzalo Acro.

Nonostante violenze quasi giornaliere, i barra bravas incontrano pochissima resistenza dalle autorità argentine, in primis dalla Federazione e dal suo presidente Julio Grondona, scrive il New York Times. Ma spesso, e questo è l’aspetto più preoccupante, in Argentina sono spesso degli eroi per i più giovani. Quando escono dal carcere e arrivano allo stadio, si vedono firmare autografi. Molti giustificano questo comportamento con il prestigio in costante calo del campionato argentino, che i migliori giocatori abbandonano sempre più frequentemente per l’Europa. Inoltre, essere un barra brava è un’attività molto renumerativa. Secondo il giornalista argentino Gustavo Grabia, i capi dei “La 12”, i barra bravas dell’altro storico club di Buenos Aires, il Boca Juniors, guadagnano oltre 11mila euro al mese a testa. Il loro ex leader Rafael Di Zeo, uscito di carcere solo nel maggio 2010 dopo una serie di aggressioni, sostiene che la guerra del tifo non finirà mai, «perché è come una scuola. Si tramanda, si tramanda, si tramanda».

Foto: AP/Tony Valdez, DYN, File