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  • Sabato 12 novembre 2011

Ritorno a Fukushima

Per la prima volta i giornalisti stranieri sono entrati nella centrale del disastro e hanno visto i danni dello tsunami

(AP Photo/David Guttenfelder, Pool)

(AP Photo/David Guttenfelder, Pool)

A otto mesi dallo tsunami che ha devastato il Giappone, l’impianto nucleare di Fukushima, gravemente danneggiato all’epoca, ha aperto per la prima volta le porte a una quarantina di giornalisti stranieri, accompagnati per l’occasione dal ministro della ricostruzione Goshi Hosono. Un reporter dell’Associated Press ha raccontato lo scenario che si è trovato davanti: “Ciarpame dappertutto, muri dell’impianto a pezzi e macerie”.

Sino a oggi, le autorità giapponesi avevano vietato ai giornalisti l’accesso all’impianto per motivi di sicurezza. La decisione del governo giapponese dunque è il segnale che la situazione sta tornando alla normalità, anche se l’attività dei quattro reattori gravemente danneggiati dallo tsunami non è ancora tornata ai massimi livelli di sicurezza. Inoltre, nonostante il recente gesto “rassicurante” da parte di un funzionario del governo giapponese, desta ancora preoccupazione lo stato delle acque intorno all’impianto, dopo che una grande quantità di materiale radioattivo si è riversata in mare.

Oggi la situazione sembra essere sotto controllo ma la vita nella prefettura di Fukushima è ancora lontana dalla normalità. Tra una settimana ci saranno le elezioni amministrative della prefettura che però hanno tutta l’aria di diventare consultazioni fantasma: i candidati faticano a fare campagna elettorale, anzi a volte si devono recare in altri distretti diversi da quello di riferimento (come accade a Futaba), dal momento che è molto difficile raggiungere le migliaia di persone evacuate e dislocate in vari campi container. In alcuni casi, circa un terzo delle lettere e dei volantini elettorali non arriva ai destinatari “scomparsi” e il materiale viene rispedito al mittente.

Nel frattempo, si continuano a temere danni alla salute per gli abitanti di Fukushima. L’ultimo allarme riguarda ancora una volta i bambini, che almeno nella zona di Koriyama (a circa 60 chilometri dall’impianto), crescono molto meno rispetto all’anno scorso: alcuni pesano solo 0,8 chili in più rispetto al 2010, mentre l’anno prima avevano messo su, nello stesso periodo, mediamente circa 3,1 chilogrammi. Colpa, secondo gli studiosi, dello stress conseguente al disastro, causa di simili problemi a breve termine a differenza di quelli a lungo termine provocati dalle radiazioni per le quali le autorità sanitarie giapponesi stanno tenendo sotto stretto controllo medico circa 360mila bambini.

Ieri, intanto, è stato pubblicato dall’Institute of Nuclear Power Operations un inedito rapporto di 98 pagine sul disastro di Fukushima. Teoricamente, il documento, alla luce dell’esperienza giapponese, è stato compilato come eventuale manuale di emergenza per gli impianti nucleari americani. In realtà, si tratta anche di un minuzioso resoconto, ora per ora, delle attività e delle enormi difficoltà incontrate da chi ha lavorato nell’impianto di Fukushima, che fino alla fine ha provato a riattivare il sistema di raffreddamento dei reattori per evitare un incidente nucleare più grave. Il rapporto ricostruisce le frenetiche operazioni per evitare la fusione nucleare, gli sfortunati fallimenti nel riattivare l’energia elettrica, ma anche la disorganizzazione tra un team e l’altro di tecnici.

Un caso particolare è quello del “venting”, ossia delle fuoriuscite pianificate di radioattività che la Tepco è stata accusata di aver ritardato. In realtà, dai dati forniti con il documento, sembra che il ritardo fosse dovuto al fatto che i tecnici credevano di dover aspettare l’evacuazione di altre zone circostanti prima di procedere. Nel documento si legge inoltre che i tecnici, a volte privi dell’adeguata preparazione, hanno continuato a lavorare all’impianto nonostante “gli elevati livelli di radioattività” e la perdita delle loro case e famiglie. Molti di loro «dormivano sul pavimento» durante le poche pause dal lavoro e mangiavano soltanto «un biscotto a colazione e un piatto di pasta la sera».

AP Photo/David Guttenfelder, Pool