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  • Lunedì 3 ottobre 2011

La sinagoga di Tripoli

Riaperta dopo 44 anni e già di nuovo chiusa, solleva la complicata questione della minoranza ebrea che fu costretta all'esilio dal regime

Aggiornamento. Alcuni uomini armati hanno sprangato nuovamente la sinagoga di Tripoli che David Gerbi aveva riaperto dopo 44 anni. Gerbi ha detto di essere stato minacciato di morte.

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Domenica la sinagoga di Tripoli è stata riaperta per la prima volta dopo 44 anni. Il luogo di culto della comunità ebraica libica era stato chiuso nel 1967, dopo la guerra dei Sei giorni e prima del colpo di stato militare che portò al potere Muammar Gheddafi. La riapertura della sinagoga è una sfida coraggiosa alla nuova leadership libica, scrive il Wall Street Journal, che ora dovrà dimostrare di essere capace di tutelare quel pluralismo democratico di cui dice da tempo di essere portatrice.

L’uomo che ha riaperto la sinagoga si chiama David Gerbi ed era scappato a Roma nel 1967 quando aveva solo dodici anni. «Questo è un test importante per il nuovo governo», ha detto, «per capire se sarà discriminatorio o se la Libia sarà davvero una nuova democrazia. La mia intenzione è di restaurarla e farne un luogo di culto attivo». Il modo in cui il nuovo governo libico gestirà i rapporti con la minoranza ebrea in esilio avrà un ruolo importante nel definire la sua credibilità agli occhi degli interlocutori internazionali, scrive il Wall Street Journal.

I nuovi leader libici hanno l’opportunità storica di ripristinare i diritti delle minoranze perseguitate dal regime, e il ritorno degli ebrei esiliati è certamente una delle questioni più delicate da affrontare. La maggior parte degli ebrei libici, circa 40mila, lasciò il paese tra il 1948, la nascita dello stato di Israele, e la guerra dei Sei giorni del 1967. Il loro numero ora, contando anche i loro discendenti, dovrebbe comprendere circa 200mila persone. Molte delle famiglie che scapparono si lasciarono alle spalle le loro proprietà e ora potrebbero rivendicare il diritto di tornarne in possesso.

A complicare ulteriormente la situazione c’è poi il fatto che molti degli ebrei libici che fuggirono si rifugiarono in Israele, di cui poi diventarono cittadini. E la maggior parte della popolazione libica non sembra favorevole all’ipotesi di accoglierli. La richiesta di riaprire la sinagoga era stata ignorata dal Consiglio Nazionale di Transizione, ma Gerbi ha deciso di farlo comunque. «Non ci sarà nessun problema in futuro», hanno fatto sapere dal governo libico «ma non era questo il momento adatto: una questione così delicata deve essere prima affrontata apertamente dal governo e sarebbe stato opportuno aspettare l’insediamento di un nuovo governo regolarmente eletto».

Il CNT sostiene che la scelta di riaprire la sinagoga in modo unilaterale potrebbe esporre Gerbi e la sinagoga al rischio di attentati estremisti, che potrebbero a loro volta destabilizzare una situazione ancora molto fragile e screditare l’immagine e il funzionamento del nuovo governo. Gerbi invece è convinto che il suo lavoro a contatto con la comunità locale di musulmani basterà a far accettare la riapertura della sinagoga. È riuscito a ottenere il supporto dei ribelli che controllano quel quartiere della città e di due imam della moschea locale. Domenica molte persone sono entrate nella sinagoga incuriosite dalla possibilità di rivedere un luogo che era stato chiuso per così tanto tempo. Molti lo hanno visto per la prima volta.