Il neutrino ha fatto la sua comparsa nella mente dei fisici teorici nel 1930, prima fra tutti in quella dell’austriaco Wolfgang Pauli. Un esperimento di decadimento radiattivo aveva registrato la “scomparsa” di una porzione di energia dai prodotti finali del processo, in palese violazione con le leggi di conservazione. Per cercare di salvarle, egli propose l’esistenza di una particella neutra ed estremamente leggera, invisibile agli strumenti e portatrice dell’energia mancante.
La chiamò inizialmente “neutrone”: la meno esotica particella che oggi chiamiamo con questo nome fu scoperta e battezzata – con lo stesso nome, appunto – solamente due anni più tardi, nel 1932, dal fisico da Sir Chadwick. Fu Enrico Fermi a risolvere l’omonimia tra particelle chiamando la più leggera “neutrino” (come diminutivo del più pesante “neutrone”) quando elaborò la sua teoria del decadimento beta nel 1934, in cui entrambe erano coinvolte.
Il decadimento beta è un processo fondamentale in fisica, e avviene frequentemente sia all’interno del Sole che nei reattori nucleari. In esso, un neutrone viene convertito in un protone, e si producono anche un elettrone e un neutrino. L’osservazione diretta di un neutrino non avvenne però prima del 1954 grazie all’esperimento di Cowan e Reines (premio Nobel nel 1995), in cui neutrini prodotti da un reattore nucleare vennero fatti interagire con i protoni dell’acqua contenuta in un serbatoio.
Il neutrino, insomma, è sempre stato una particella particolarmente “sfuggente”: la ragione fisica è che esse non è soggetto né alla forza elettromagnetica né a quella nucleare forte, ma solo alla forza nucleare debole (e a quella gravitazionale, che però è ininfluente per gli esperimenti). Questa forza, di cui il decadimento beta è una manifestazione, è caratterizzata da un raggio d’azione molto limitato, e proprio per questo motivo le probabilità di interazione tra due particelle sono molto basse (un fisico direbbe che la sezione d’urto è molto piccola). Ogni esperimento coi neutrini richiede quindi, per avere successo, la presenza di un gran quantitativo di materiale come “bersaglio”, oppure, al contrario, di un intenso flusso di neutrini (questo è il caso del CERN).
La sua bassa interazione ha tenuto per diversi anni i neutrini tra i possibili candidati ad essere l’invisibile “materia oscura”, che secondo le moderne teorie cosmologiche rappresenta circa l’85% della materia presente nell’Universo anche se di lei non si conosce quasi nulla. I neutrini furono poi scartati, per argomentazioni di diversa natura che non ci interessa approfondire qui.
Nello schema attuale della fisica teorica, i neutrini hanno il loro posto tra le particelle elementari all’interno della famiglia dei leptoni, e possono avere tre “sapori” (si chiamano proprio così, flavours): elettronico, tauonico o muonico, a seconda delle particelle coinvolte nei processi in cui sono originati. All’interno del Sole, per esempio, i neutrini prodotti sono tutti elettronici, dato che vengono dal decadimento di un neutrone in un protone ed un elettrone.