Le province vanno davvero abolite?

Una neo assessore provinciale racconta il suo lavoro, presenta un po' di numeri e invita a pensieri e calcoli meno sbrigativi

Emanuela Marchiafava fa da tre mesi l’assessore allo sviluppo economico e al turismo della provincia di Pavia: era stata candidata ed eletta alle scorse provinciali nelle liste del Partito Democratico ed è al suo primo incarico amministrativo. Oggi sulla rivista online dei Mille parla dell’abolizione delle province e del relativo disegno di legge costituzionale presentato dal Governo.

Da tre mesi sono l’assessore provinciale allo sviluppo economico e al turismo della provincia di Pavia e, da allora, non è passato un giorno senza che al Governo e sui giornali si parlasse dell’abolizione delle province. Giovedì 8 settembre il Governo ha approvato il relativo disegno di legge costituzionale che spedisce per un po’ in soffitta anche il federalismo, a ben vedere.

Sgombro subito il campo da ogni dubbio e dichiaro fin da ora che sono pronta ad “andare a casa” anche domani, a rinunciare a questo che è il mio primo incarico da amministratore pubblico. La questione dirimente, invece, è capire se l’abolizione delle province costituisce un punto fondamentale per…? Per ridurre i costi della politica? Per diminuire quelli della burocrazia? O piuttosto limitare la rappresentanza democratica in Italia?

E allora incominciamo a dare i numeri, quelli giusti.

Userò ad esempio proprio quelli della Provincia di Pavia dove un assessore percepisce un’indennità annuale di 35.000 euro –se svolge il suo mandato a tempo pieno, altrimenti ne riceve la metà- un consigliere provinciale un gettone di presenza a seduta di 46 euro, mentre un dirigente provinciale riceve un emolumento che è in media circa il doppio di quello di un assessore (tutte cifre lorde lorde).

Stando sempre all’esempio pavese: eliminare la Provincia significa eliminare la Giunta (un presidente, sette assessori) e il consiglio provinciale (ventiquattro consiglieri), non tutta la struttura (450 dipendenti) con un risparmio sul bilancio della struttura, che continuerebbe ad esistere, pari allo 0.5%.

Le province italiane contano 4.000 amministratori (presidenti, assessori e consiglieri) e 61.000 dipendenti: i primi costano alla collettività 113 milioni di euro l’anno, i secondi 2 miliardi e 343 milioni. (dati siope 2011 dal dossier UPI “Le Province allo specchio”)

Il risparmio sarebbe quindi pari ai 113 milioni e assolutamente non ai 2 miliardi e 343 milioni, perché lo Stato non licenzierebbe i 61.000 dipendenti provinciali, ma li assegnerebbe agli altri livelli territoriali, in primis alle Regioni secondo il ddl approvato dal Governo Berlusconi l’8 settembre; il passaggio costerebbe circa 600 milioni in più alla collettività, perché i contratti collettivi del pubblico impiego a livello regionale di norma riconoscono condizioni economiche più vantaggiose rispetto al livello provinciale a dipendenti di pari inquadramento.

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