Che cosa fu la rivolta di Attica
Quarant'anni fa iniziò la più sanguinosa rivolta carceraria della storia degli Stati Uniti, ricordata oggi come una delle più importanti battaglie per i diritti dei detenuti
di Elena Favilli
Il 9 settembre 2011 è il quarantesimo anniversario della rivolta di Attica, la più sanguinosa rivolta carceraria della storia degli Stati Uniti. Scoppiò nel carcere dell’omonima città dello stato di New York e finì con uno dei più brutali massacri mai effettuati dalle forze dell’ordine americane, su autorizzazione dell’allora governatore di New York Nelson Rockfeller. Durò per cinque giorni e oggi negli Stati Uniti è ricordata come una delle più importanti battaglie combattute per i diritti civili e umani di chi vive in carcere.
La mattina del 9 settembre del 1971 i prigionieri del penitenziario di Attica presero in ostaggio 38 persone, tra guardie e impiegati, chiedendo migliori condizioni di detenzione. La rivolta era stata innescata dalla morte dell’attivista politico George Jackson, membro delle Pantere Nere, ucciso pochi giorni prima dalle guardie carcerarie nella prigione californiana di San Quentin. I detenuti di Attica erano in gran parte afroamericani e portoricani. Angel Martinez, 21 anni, chiedeva migliori cure per la sua poliomielite. L.D. Barkley, 21 anni, chiedeva di non dover scontare la sua pena per guida senza patente in un carcere di massima sicurezza. Richard X. Clark chiedeva che i carcerati di pelle nera non fossero costretti a fare i lavori peggiori.
La protesta ottenne da subito grande attenzione mediatica. I detenuti elessero dei rappresentanti e cercarono di avviare una trattativa con le autorità. Dopo quattro giorni di trattative, nonostante si fosse giunti a un accordo sommario su alcune delle loro richieste, il governatore Rockfeller si rifiutò di concedere l’amnistia per i reati commessi dai carcerati durante la sommossa e la situazione degenerò. I detenuti minacciarono di uccidere gli ostaggi e a quel punto Rockfeller ordinò l’intervento della polizia per reprimere la rivolta con la forza. Il capo della polizia che trasmise quell’ordine ai suoi uomini commentò così qualche tempo dopo quel momento: «Su una scala molto più piccola, capii cosa dovesse avere provato Truman quando ordinò di sganciare la bomba su Hiroshima».
La mattina del 13 settembre gli elicotteri che si erano alzati in volo sopra il carcere iniziarono a sganciare gas lacrimogeni sull’edificio. Subito dopo circa 500 agenti entrarono nel penitenziario e iniziarono a sparare. «Riuscivo a vedere soltanto sangue, fango e acqua», ricorda oggi sul New York Times uno dei prigionieri sopravvissuti. Trentanove persone morirono, tra cui dieci ostaggi. Molti dei sopravvissuti furono torturati. Alcuni furono costretti a rotolarsi nudi su vetri rotti, nonostante le ferite già riportate a causa dei colpi di arma da fuoco. Altri furono costretti a correre nudi tra due file di agenti che li picchiavano con i manganelli.
Durante le indagini che seguirono, le autorità dissero che erano stati i prigionieri, e non gli agenti, a uccidere gli ostaggi. “Ho visto gole tagliate”, titolarono alcuni giornali in quei giorni. Testimonianze che furono poi interamente smentite dalle successive autopsie. Ai familiari degli ostaggi rimasti uccisi fu offerto un risarcimento, che una volta accettato impediva loro di rivalersi legalmente contro lo stato di New York per gli eventuali torti subiti a causa dell’azione violenta delle forze armate. Soltanto 26 anni dopo, nel 1997, ai prigionieri sopravvissuti fu riconosciuto il diritto a un risarcimento di 8 milioni di dollari da parte dello stato di New York per le violazioni di diritti umani e civili subite. Cinque anni dopo lo Stato fu costretto a pagare altri 12 milioni di dollari alle guardie e agli altri impiegati del carcere coinvolti nella sommossa.
In una delle scene più famose del film “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, il personaggio interpretato da Al Pacino, che ha preso in ostaggio otto dipendenti di una banca, inizia a urlare “Attica, Attica!” contro la polizia che ha circondato l’edificio, alludendo agli eventi del carcere dello stato di New York.