Le cose da sapere sui font

Obama è presidente anche grazie al Gotham, Helvetica è ovunque e c'è un posto in cui "@" si chiama «involtino d'aringa»

Gli esperti di font sono combattivi. Esaltano alcuni caratteri e ne deridono altri.
Si arrabbiano in modo che ai profani può sembrare del tutto irrazionale quando un sistema di segni viene cambiato, come è successo ad esempio quando Ikea è passata dal font Futura a Verdana per il proprio famoso catalogo e per tutti i testi dell’azienda. In più mostrano simboli tribali. Nel libro di Simon Garfield Just my type: a book about fonts, è riprodotta una maglietta decorata soltanto da e commerciali in carattere Caslon. Quella e commerciale, spiega Garfield, attira cenni di apprezzamento da parte di altri intenditori, identici agli sguardi compiaciuti dei fan della prima ora di un buon gruppo musicale prima che diventi famoso.

Il libro di Garfield vuole far conoscere il mondo dei font a chi non pensava potesse essere un argomento interessante. Ne parla Janet Maslin sul New York Times:

Una quantità considerevole di persone li conosce bene perché ci lavora. La conoscenza dei caratteri e del loro uso è fondamentale nel mondo della pubblicità, nell’editoria, ma è essenziale anche per qualunque lavoro implichi la scrittura di un testo al computer. Ai computer si deve l’aumento degli esperti di font negli ultimi vent’anni. Dice Garfield: «Se Steve jobs non avesse incluso in un software la possibilità di scegliere i font, probabilmente non si parlerebbe così tanto di caratteri tipografici».

Just my type si occupa di vari aspetti legati ai font. Racconta ad esempio che i caratteri usati per i segnali stradali superano test appositi di leggibilità, e spiega che cosa trasmettono a livello subliminale i font scelti dai politici dei diversi schieramenti.
Un capitolo divertente è dedicato a Comic Sans. Scegliere Comic Sans per un cartello che dice “Vietato entrare”, sostengono Holly e David Combs (che hanno fondato un movimento per mettere al bando Comic Sans e che vengono citati nel libro), «è come presentarsi vestiti da clown a una cena in cui sono tutti in giacca e cravatta».
Garfield però racconta di aver visto Comic Sans utilizzato anche per le iscrizioni tombali, quindi anche se ormai ogni carattere possiede una certa “immagine sociale”, la percezione soggettiva di un font ha ancora un certo peso. Per quanto riguarda l’origine del nome, si legge nel capitolo che “sans” viene da “sans serif”, cioè senza “grazie” (i tratti terminali del carattere).

Tra gli argomenti di Just my type l’origine, e soprattutto la diffusione di Helvetica. Garfield racconta dell’esperimento del newyorchese Cyrus Highsmith, che ha tentato di passare una giornata nella sua città senza incontrare il carattere Helvetica, invece l’ha trovato sulle etichette dei vestiti, sullo yogurt, sul suo computer, sul giornale, sui soldi e su un menu di Chinatown.

Il libro si occupa anche del disprezzatissimo Arial, il carattere usato da Microsoft che sembra Helvetica. L’estrema somiglianza con Helvetica dimostra che è difficile proteggere i font in tribunale, perché l’alfabeto viene generalmente considerato di pubblico dominio. Chi ha pazienza però può far mettere il copyright su ogni lettera, numero e glifo del suo carattere. Le lettere di Arial hanno un numero sufficiente di minuscole differenze da quelle di Helvetica, da rendere Arial legalmente ineccepibile.

Tra i font peggiori del mondo, poi, Garfield inserisce Papyrus, utilizzato da James Cameron per Avatar perché “ha un aspetto tribale”. Tra le altre cose che si imparano nel libro di Garfield: come viene chiamato il simbolo @ nelle varie lingue (se per i francesi e per noi è una chiocciola, per i cechi è un “involtino di aringa”); il segreto della grande R della rivista Rolling Stone e quello della T dei Beatles, che scende sotto le altre lettere.

Sembra poi che Obama debba molto della sua vittoria alle presidenziali del 2008 al fatto di aver scelto Gotham per la sua campagna: Gotham infatti “è stato scelto con accortezza perché invita a pensare al futuro senza mettere ansia”. E il logo del Post ne sa qualcosa.