L’utopia di Gibellina

Francesco Merlo su Repubblica racconta cos'è oggi la città ricostruita creativamente dopo il terremoto del Belice dal sindaco Corrao, ucciso una settimana fa

Gibellina è un comune siciliano in provincia di Trapani, distrutto dal terremoto del Belice e ricostruita sul territorio del comune di Salemi. L’allora sindaco della città, Ludovico Corrao, decise di far partecipare alla ricostruzione decine di artisti, letterati e architetti di fama mondiale: tra questi Wikipedia cita Pietro Consagra, Alberto Burri, Mario Schifano, Andrea Cascella, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Franco Angeli e Leonardo Sciascia. Gibellina è tornata sulle pagine dei giornali qualche giorno fa, quando Corrao è stato ucciso a coltellate dal suo badante filippino. Oggi Francesco Merlo su Repubblica racconta cos’è adesso Gibellina.

Prima di raccontare il disastro (artistico?) di Gibellina, prima di chiedere alla Regione Siciliana di restituire la Venere di Morgantina al Getty Musuem di Los Angeles, vorrei invitare chi crede in Dio a pregare per Saiful Islam, il giovane del Bangladesh che ha ucciso a coltellate Ludovico Corrao, il suo generoso principe, che certamente gli voleva bene. E vorrei invitare chi crede nell’uomo a riflettere su questo nuovo “pulviscolo sociale” direbbe Marx, questo sottoproletariato composto in Italia dai badanti sessuali del Terzo Mondo, ragazzi belli e forti senza diritti, neppure quello alla pietà.

A Gibellina tutti sanno che Saiful era lombra del senatore, il suo bastone da passeggio. Al geniale Corrao piaceva camminare con quel ragazzo che stava lì da quando aveva 12 anni. Mi raccontano che il sontuoso senatore aveva insegnato a Saiful che bisogna tenere le mani sempre libere – e sembra di vederli avanzare sulle pietre di Gibellina – per far meglio ondeggiare le spalle mentre si cammina “come le mangrovie sul Delta del Gange, dove non è mai fatica dondolarsi e intanto stare con le radici dentro l’acqua e abbracciare con lo sguardo l’orizzonte”. Anche Garibaldi aveva la sua ombra nera, un ex schiavo di Montevideo, Andreas Adujar, che, negli ultimi istanti di vita, il generale fece colonnello. C’è sempre un guerriero che copre le spalle a un generale.

Adesso che Corrao è stato seppellito e Saiful ha cercato il suicidio sbattendo la testa sul cancello del carcere di Marsala, a Gibellina anche le famose opere d’arte sono più spettrali e persino la “follia urbanistico-architettonica condita da salsa artistica”, come la definì Federico Zeri, ha perduto anche la velleità, la pretesa di incantare. Perché c’è sicuramente un rapporto tra le erbacce che hanno sfondato il cretto di Burri, tra la ruggine che se lo sta mangiando e quelle coltellate sul vecchio corpo stanco della questione meridionale che Saiful, prima di colpire, ha ancora una volta lavato. E’ il sud del sud il Bangladesh in Italia, ma solo in Sicilia il Bangladesh è il misero che fa sentire ricco il povero.

Sono stato a Gibellina tante volte. La prima, subito dopo il Grande Evento, nel gennaio del 1968. Ero giovanissimo e volevo vedere e dare una mano. Ci sono tornato negli anni dell’immaginazione al potere e dei professori di architettura. A Gibellina ho imparato che anche le rovine possono andare in rovina, e che la rinascita del Belice è un miracolo sempre rimandato. E oggi che Corrao è morto e la sua utopia è stata giustamente celebrata dalla cultura, dalla politica e dalla chiesa, tutti dovrebbero andare a vedere come è ridotta la città che ha tormentato gli intellettuali siciliani, com’è più invasiva la spazzatura e come sono più tristi, tra i Consagra e i Purini, le baracche provvisorie che sono diventate ambiente e natura. Le opere commissionate da Corrao sono state mostrificate dal tempo e dall’avanzare del contesto ma non hanno il fascino dei mostri di Bagheria. Il sottosviluppo, l’arretratezza e la marginalità non sono stati riscattati ma al contrario esaltati da Samonà e da Venezia, da Pomodoro, Mendini, Salvatore, Franchina, Colla, Spagnuolo, Melotti, Cascella. La prima volta che vidi ‘il giardino dei profumi’ – un miliardo e mezzo di lire – era ricco di rosmarino, salvia, menta, piante mediterranee… In due anni divenne tutto secco, pietre friabili, terra arida e puzza. E le costruzioni sono gabbie razionaliste spesso transennate e meridionalizzate, tra scheletri di elettrodomestici, buste di plastica volanti, crolli, opere mai completate e opere corrose, sfinite.

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