L’audience di Santoro

Tullio Gregory, che fu consigliere d'amministrazione nella Rai "dei professori", si chiede dove sia finita la diffidenza per l'Auditel nella difesa di Annozero

Nei giorni scorsi la discussione sulla chiusura del programma di Michele Santoro ha avuto tra gli argomenti più insistiti da parte dei difensori quello dei numeri del programma e dei profitti che questi numeri portavano alla Rai, anche se spesso gli argomenti provenivano dagli stessi che di solito predicano la necessità di liberare la Rai dalla schiavitù dell’audience e privilegiare il servizio pubblico sul mercato. Oggi ne scrive sul Corriere della Sera Tullio Gregory, filosofo e quasi vent’anni fa consigliere d’amministrazione della Rai (nel consiglio cosiddetto “dei professori”).

Nella bufera suscitata dal «caso Santoro» si sono confusamente intrecciati aspetti che andrebbero tenuti ben distinti. Vi è anzitutto l’aspetto politico, che indica un’evidente vendetta del Cavaliere, il quale da tempo chiedeva la soppressione di Annozero. Vi è poi un secondo aspetto, squisitamente economico: sarebbe stata questa l’occasione— una positiva innovazione da parte del nuovo direttore generale— per informare l’opinione pubblica, costituita dai sottoscrittori del canone, dei criteri che hanno determinato una ragguardevole liquidazione, facendo anche conoscere, più in generale, i parametri con i quali si stipulano i contratti e la loro entità. Vi è infine un terzo aspetto che necessariamente si ripresenta in margine al caso Santoro e implica quale concezione si abbia della Rai come servizio pubblico.

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