Le infrastrutture che mancano all’Italia

Linkiesta racconta che fine hanno fatto le infrastrutture che Berlusconi aveva promesso dieci anni fa

Nel maggio del 2001 Silvio Berlusconi, candidato alla presidenza del Consiglio, ospite di Porta a porta siglò il celebre “contratto con gli italiani”. Uno di punti del contratto prevedeva – testualmente – “l’apertura dei cantieri per almeno il 40% degli investimenti previsti dal Piano decennale per le Grandi Opere considerate di emergenza e comprendente strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, reti idriche, e opere idro-geologiche per la difesa dalle alluvioni”. Sono passati dieci anni, Berlusconi ne ha passati al governo quasi otto. Oggi Linkiesta racconta, con un articolo e un’infografica, tutte le infrastrutture che mancano ancora.

L’altro giorno, in conferenza stampa con Giulio Tremonti, Silvio Berlusconi si è lamentato che il paese cresce poco «anche perché abbiamo il 50% di infrastrutture in meno di Francia e Germania», i nostri cugini rivali. È un divario che pesa. Secondo la Camera di commercio di Milano ogni anno le nostre piccole imprese pagano fino a 3mila euro a testa in extracosti da inquinamento e traffico. Mentre il costo di una logistica monca e non integrata penalizza per 40 miliardi la nostra economia

Eppure, esattamente 10 anni fa, il Cavaliere andò in tv a Porta a Porta e sulla lavagna di Bruno Vespa disegnò una mappa colorata piena di strade, ponti, trafori e ferrovie che, nel giro di pochi anni, avrebbero dovuto cambiare il volto del paese. Quel gigantismo visionario finì pochi mesi dopo dentro la legge 443 del 2001, meglio nota come Legge Obiettivo, nata per definire procedure e modalità di finanziamento per la realizzazione delle infrastrutture strategiche.
Il Cipe, sotto Natale, con la delibera 121, approva un elencone di grandi opere: 250 interventi del valore di 125 miliardi di euro, coperti per 43,2 con risorse disponibili e da coprire per 82,6 con risorse da raccogliere attraverso nuovi stanziamenti pubblici o l’intervento di “partner” privati. Diciannove di questi interventi vengono definiti “opere prioritarie”.

C’è il Ponte sullo Stretto di Messina, l’autostrada Brescia-Milano, il passante di Mestre, la Nuova Romea Commerciale, l’Autostrada Ravenna-Venezia, il Tibre (Tirreno-Brennero) autostradale e ferroviario, il quadrilatero Umbria-Marche, la solita Salerno-Reggio Calabria, la Palermo-Messina, i valichi di Frejus, Brennero e Sempione, l’Alta Velocità Lione-Torino-Trieste, Milano-Genova, e Salerno-Reggio, i nodi urbani di Roma, Napoli e Bari, il “Mose” di Venezia e le Reti idriche del Mezzogiorno. Nel famoso contratto con gli italiani, firmato sempre a casa Vespa nella primavera 2001, Berlusconi promette solennemente che avrebbe portato a compimento, entro il 2006, almeno il 40% di quelle opere. Dieci anni dopo siamo ancora inchiodati al 25% dei lotti. A dirlo, sono i documenti Cipe.

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