Cosa succede al Secolo

Flavia Perina accusa gli ex AN di voler normalizzare il quotidiano che dirige, riportandolo dentro il PdL

La società editrice del Secolo d’Italia è gestita dal comitato dei garanti di Alleanza Nazionale, che amministra l’intero patrimonio del partito confluito nel PdL. Per questa ragione, nel corso degli ultimi mesi la posizione del quotidiano – dalle posizioni molto vicine a quelle di Gianfranco Fini, nel frattempo uscito dal PdL, e la cui direttrice, Flavia Perina, è deputato di Futuro e Libertà e autrice di un blog sul Post – è diventata sempre più sgradita ai suoi amministratori. Il comitato dei garanti di AN oggi procederà con la sostituzione dell’amministratore delegato, il finiano Enzo Raisi, con un consiglio di amministrazione composto in maggioranza da ex membri di AN oggi saldamente nel PdL. Il prossimo passo, stando a quanto dichiarato alla stampa, è proprio la sostituzione di Flavia Perina alla direzione del giornale. Negli ultimi tre anni il Secolo aveva ridotto le perdite da due milioni e mezzo a 600 mila euro. Oggi Perina commenta così sul Secolo quanto sta accadendo.

Che cosa avrebbe scritto Giano Accame di un politico di governo che chiede di arrestare gli studenti “preventivamente”? Come avrebbe commentato Alberto Giovannini il raduno delle gheddafine a Roma, e la difesa che ne ha fatto l’intero Pdl? Nino Tripodi, Franz Maria D’Asaro, o uno qualsiasi degli editorialisti che si sono succeduti sulla prima pagina del Secolo, che avrebbero detto della guerriglia leghista contro la festa dell’Unità nazionale? E le avventure del presidente del Consiglio con la finta nipote di Mubarak? Vi immaginate un articolo di Gianna Preda sul tema?

Sono le domande a cui dovrebbe rispondere chi, in perfetta malafede, accusa il Secolo di essere «troppo finiano». La verità è che il Secolo è semplicemente «troppo onesto» nell’interpretare ogni giorno le idee, la tradizione, il portato politico-culturale della destra italiana nonché la specifica identità che la testata porta con sé fin dalla fondazione. È un grillo parlante enormemente scomodo, che ogni giorno, con la sua stessa esistenza in edicola o nelle rassegne stampa, parla alle coscienze del nostro mondo e ricorda una realtà che il “ministero della verità” berlusconiano vorrebbe cancellare: la destra delle manifestazioni per Trieste italiana, la destra dell’orgoglio nazionale, del patriottismo, del “coraggio di dire di no”, la destra creativa e movimentista degli anni ’70, la destra che non si piegò al potere neanche quando si giocava la vita nella partita della sopravvivenza politica. Una destra perbene, che portava il Secolo sotto braccio come sfida al mondo pure quando il giornale era un prodotto modesto, semplice testimonianza di appartenenza.

Che vogliamo farne, signori, di questa storia? La volete rubare, la volete sfilare alle centinaia di migliaia di persone che l’hanno costruita per metterla al servizio degli interessi della declinante causa berlusconiana? Spiegatecelo. Il comitato dei Garanti di An ha sostituito l’amministratore del Secolo Enzo Raisi con un consiglio di amministrazione, che si insedia oggi con l’intenzione (dichiarata ai giornali) di normalizzare il nostro quotidiano con un cambio di direzione. Insomma la sottoscritta, poiché «ha rifiutato una condirezione» (notizia del tutto falsa: nessuno me l’ha mai proposto) se ne dovrebbe andare per lasciare spazio a una direzione che interpreti «le ragioni degli ex-An rimasti fedeli al Pdl», come se questo fosse ancora un bollettino di partito da annettersi come bottino di guerra.

Questo tira e molla dura da troppi mesi. E da troppi mesi durano le piccole ripicche (arrivate in ottobre fino al mancato pagamento degli stipendi), il boicottaggio strisciante, la guerra di nervi di rinvio in rinvio. Le contestazioni “politiche” che ci vengono rivolte sono infondate: la linea del giornale sull’integrazione, contro l’islamofobia, contro la sudditanza del Pdl alla Lega, contro le ronde e le veline in lista, contro l’omofobia, per una destra repubblicana, libertaria, garantista e dei diritti, risale a molto prima degli “strappi” finiani, precede la cacciata di Fini dal Popolo della libertà e la nascita di Futuro e libertà. L’idea di costruire un quotidiano plurale, aperto, curioso delle evoluzioni della politica rifiutando in toto il vecchio assetto dell’house organ (del Pdl, di Fli o di chicchessia) è connaturata con il piano editoriale lanciato nel 2007 e sfociato in una totale ristrutturazione del Secolo. Le polemiche di bassa lega sul quotidiano “che strizza l’occhio a sinistra” fanno semplicemente ridere: qui, nella classe dirigente del giornale – Luciano Lanna, Annalisa Terranova, Girolamo Fragalà e la sottoscritta – non c’è uno che non possa vantare con orgoglio tre decenni di militanza a destra, cominciata da adolescenti nel Msi e portata avanti con lealtà e senza mandare il cervello all’ammasso.

Allo stesso modo, è inconsistente l’accusa sui costi: Raisi ha ridotto il deficit annuale di due terzi, e i conti del 2010 sarebbero stati molto migliori negli ultimi sei mesi se il giro di vite tra settembre e ottobre non ci avesse materialmente impedito di lanciare i nuovi piani di distribuzione nel momento più “fortunato” del giornale, sull’onda di Mirabello e dell’esplosione delle contraddizioni nel Pdl.

Il nuovo Cda oggi esaminerà quei bilanci, e insieme ad essi gli elenchi dell’organico e i contratti dei dipendenti: abbia il coraggio di ammettere che qui c’è una realtà “miracolosa”, che con 12 giornalisti e un piccolo gruppo di collaboratori, tutti praticamente ai minimi sindacali, ha rimesso in piedi in tre anni una testata che era morta e aveva perso ogni incidenza politica. Confrontino quei salari con quelli delle loro segretarie, e ci dicano che “spendiamo troppo”. Paragonino l’esiguità di questa squadra alla collezione degli ultimi due anni, sfoglino i paginoni, rileggano le interviste, i numeri domenicali, gli editoriali e le inchieste. Poi ci dicano che si può far meglio e ci spieghino come. Aspettiamo, curiosissimi…