Chiudere Sanremo

"L'unico caso di eutanasia accettabile", secondo l'Avvenire

Con un giudizio articolato sul valore attuale della rassegna musicale e sulla miseria di tutto quello che le sta intorno, il quotidiano Avvenire ha oggi stroncato l’anacronismo del festival di Sanremo.

Ci mancava pure Sanremo. Che torna puntuale come una maledizione. Il mondo rotea, il mondo cambia, diceva il poeta: un nero è salito alla Casa Bianca, Mubarak è crollato, un ex-Pci è al Quirinale, l’uomo sta per andare su Marte. E però abbiamo sempre Sanremo. Che una volta almeno era la patria regina del bel canto, oltre che del pettegolezzo, di scandali e scandalucci. Era la settimana che in una dura vita di lavoro e famiglia e cambiali gli italiani si concedevano di carnevale in diretta tv, con il caravanserraglio di star, starlette, e qualche buona canzone.
E chi cantava: «Pe’ fa’ la vita meno amara, me so’ comprato sta chitara» esprimeva una verità antropologica in modo semplice e simpatico. Il canto, tra gli umani, è sempre stato un’espressione del desiderio di buono, di bello. Di non amarezza. Una freccia tra il cuore e le stelle. Invece ora – sia per il gossip sia per il canto – il Festival appare quasi ridicolo. Del resto, sul palcoscenico chiamato Italia, in questo posto che è il più bello del mondo, va in onda ormai un festival continuo. Che rende amaro il vivere e renderebbe più urgente la “chitara”.

Ce lo propinano i media, ce lo propina la classe dirigente, di vario colore. In mezzo al perpetuo festival Italia, quello di Sanremo ormai, nonostante paroloni e spot, appare un pallido fantasma. Anche dal punto di vista delle canzoni, basta pensare all’edizione scorsa… La colpa è di tutti quelli che ci lavorano intorno. In particolare, dei responsabili (discografici, televisivi e anche artistici) del mondo della canzone. Che hanno indebolito Sanremo a favore di altro, che hanno penalizzato la buona canzone per inseguire stereotipi e figurini televisivi.

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