“Così finisce quel sogno romano”

Flavia Perina sul Secolo spiega perché il rimpasto della giunta di Alemanno sancisce la fine del "modello Roma" della destra

Flavia Perina, direttore del Secolo d’Italia e blogger del Post, commenta così sul Secolo di oggi il rimpasto della giunta di Roma operato dal sindaco Alemanno, che tra le altre cose ha eliminato dagli incarichi di governo della città gli esponenti finiani della destra romana (che invece nel 2008 avevano salutato la vittoria di Alemanno proprio come un segnale di forza e vitalità della destra non berlusconizzata). Il riferimento è soprattutto a Umberto Croppi, ex assessore alla Cultura, collaboratore del Secolo e soprattutto regista della campagna elettorale che aveva portato Alemanno al Campidoglio.

Doveva essere il giorno della quiete dopo la tempesta, il venerdì rosa in cui si sarebbero riallineati tutti gli spezzoni della crisi del Pdl. Nelle ventiquattr’ore di ieri, a dar retta alle previsioni della vigilia, la maggioranza avrebbe metabolizzato il “bicchiere mezzo pieno” del legittimo impedimento; scongiurato l’ipotesi di elezioni anticipate; incardinato la sua autosufficienza alla Camera con la nascita del Gruppo dei Responsabili di Pionati e Moffa; rilanciato il governo romano con una nuova super-giunta. Una specie di miracoloso “riallineamento dei pianeti” che avrebbe riportato la pax berlusconiana dentro i confini della repubblica. Ma la realtà ha preteso il suo pedaggio all’improvviso e il castello mediatico costruito nell’ultimo mese è franato riaprendo i giochi della crisi a tutti i livelli. L’inchiesta sulla minorenne marocchina Ruby, di cui pare provata la ripetuta e prolungata permanenza ad Arcore, squassa il governo e riaccende gli opposti isterismi. Il Gruppo dei Responsabili non c’è. Del legittimo impedimento non frega più niente a nessuno, perché l’inchiesta sulla nipotina di Mubarak (con convocazione di Berlusconi in procura per la fine di gennaio) svuota il bicchiere della Consulta fino all’ultima goccia; la giunta della Capitale è un rimpastino a uso delle correnti che fa insorgere il mondo della cultura – da Mughini a Nicolini – per l’esclusione di Umberto Croppi.

È quest’ultima la notizia che a noi ha fatto più effetto, e non solo perché Croppi è amico da sempre, “finiano” e collaboratore del nostro giornale, oltreché assessore in cima alle graduatorie del consenso per il suo impegno e la sua estraneità alle “cricche”. A lungo e fino all’ultimo il Secolo ha tifato perché a Roma ci fosse una ripartenza vera, che salvasse in extremis l’idea di un modello di governo “da destra” delle città. La scommessa non riguardava soltanto Alemanno, come ha spietatamente osservato Curzio Maltese in due articoli sul “marziano in Campidoglio”, ma un’intera esperienza politica e un percorso che veniva da molto lontano: quello che ha portato nell’arco di una sola generazione la destra romana da forza minoritaria e marginale a titolare della leadership e del governo «di una città che ha la popolazione e il bilancio di un piccolo Stato europeo e la storia di molti messi insieme». Il modello Roma avrebbe dovuto (e potuto) essere per la destra lo specchio in cui guardarsi per non confondersi con il berlusconismo o con l’esperienza dei sindaci-sceriffi della Lega, il laboratorio di un altro modo di fare politica, tenere relazioni con la società, con il mondo delle professioni e della cultura, con le periferie e con il territorio.

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