La ricostruzione della morte di Matteo Miotto

Il Corriere della Sera fa il punto della situazione sulle contraddizioni nella storia del militare ucciso in Afghanistan

Il 31 dicembre un militare italiano, Matteo Miotto, è stato ucciso in Afghanistan. Sul momento si dice che Miotto è stato colpito da un cecchino mentre era di guardia. Una morte insolita, visto che i talebani non sono soliti usare cecchini. Si dice che Miotto è stato colpito sotto l’ascella, poi la versione cambia e si dice che è stato colpito al fianco. I genitori di Miotto dicono invece che, secondo i suoi colleghi, è stato colpito alla spalla. Ci sono due versioni, insomma. Oggi il Corriere della Sera vede di fare un po’ d’ordine in questa storia.

Adesso i capi militari sostengono che questa «è la seconda parte della storia». Prima hanno raccontato che l’alpino Matteo Miotto era stato ucciso da un proiettile sparato da un cecchino mentre si trovava su una torretta della base avanzata «Snow», a 450 chilometri da Herat. Ora ci informano che invece non fu un cecchino isolato a colpire il giovane militare. Miotto è caduto durante una vera e propria battaglia.

Ci dicono ancora i capi militari che fra le due versioni «non c’è contraddizione». Nel senso che Miotto fu davvero abbattuto mentre si trovava sulla torretta di guardia. In pratica, ci avevano nascosto lo scontro a fuoco e l’assedio che gli alpini hanno dovuto fronteggiare, asserragliati nella base in mezzo alla valle del Gulistan.

Il primo ad adombrare dubbi sulla vera dinamica dell’episodio è stato Francesco Miotto, il padre dell’alpino ucciso. «Mi hanno chiamato i suoi comandanti dall’Afghanistan – spiegò il giorno dopo la morte del figlio -. Mi hanno detto che era stato colpito a una spalla. Invece adesso si parla di un colpo che l’avrebbe raggiunto al fianco. I dubbi, come si vede, non li ho avanzati io: ci sono delle versioni che non sono concordanti».

Francesco Miotto aggiunse di non voler «alzare polemiche». Anzi, manifestò comprensione verso i capi militari, gli sembrava possibile che «nei momenti concitati di un fatto come questo ci siano delle versioni discordanti. Ma noi famigliari vogliamo capire cosa è successo».

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