Dal Veneto con fiducia

Filippomaria Pontani riprende i percorsi dei personaggi centrali nel voto di ieri alla Camera

di Filippomaria Pontani

Tra coloro che sono risultati determinanti nel voto di oggi alla Camera si sono distinte in particolare cinque persone: non parleremo dell’onorevole dell’Italia dei Valori, Domenico Scilipoti, che si aggiunge a una lunga schiera di fedifraghi di quel partito, nel quale dispiace constatare come caratteristica costante (e non delle più anodine) la consustanziale inaffidabilità degli eletti. Non parleremo di Bruno Cesario, eletto nel Partito Democratico e giunto a votare la fiducia a Berlusconi dopo un transito per l’API di Rutelli: segnaliamo solo che ore fa Dario Franceschini ha vantato la compattezza del gruppo PD (206 su 206), omettendo appunto di ricordare appunto la defezione di questo deputato campano. Non parleremo neanche del finiano Silvano Moffa, giornalista del “Secolo” negli anni ’70, e già sindaco per dieci anni di un paesino che conosco bene, Colleferro in provincia di Roma, dove ha governato tenendo accesa la fiamma dell’antica militanza rautiana, barcamenandosi con prudenza tra interessi diversi, uscendo pulito da un’indagine per abuso e corruzione, e non opponendosi granché alla deriva ambientale che ha reso la Valle del Sacco uno dei posti più inquinati d’Italia – una deriva a lui certo non imputabile, ma forse non lenita dagli inceneritori che ha promosso, né da una certa passività in materia di salvaguardia e bonifica.

Dirò brevemente degli altri due, perché sono stati entrambi eletti nella mia regione, e dunque rappresentano un pezzo di classe dirigente che potrebbe non essere tradizionalmente associata alle boutades sugli appalti di Roccasecca. Nella circoscrizione Veneto 1 è stato eletto il vicentino Massimo Calearo, del quale si è scritto fin troppo: egli non è soltanto l’ex presidente di Federmeccanica (dal 2004 al 2008), ma ha rappresentato anche l’elemento “di rottura”, la carta vincente presentata da Walter Veltroni nella campagna elettorale del 2008 come sagace mossa per riconquistare il riottoso Nordest, come sigillo ufficiale della fine di quell’obsoleta contrapposizione fra lavoratori e padroni che alla sinistra radicale continuava a essere ostinatamente cara. Fino a poche settimane fa Veltroni continuava a dichiararsi certo della fedeltà di Calearo – ormai passato anch’egli all’API di Rutelli – al grande campo del centrosinistra, incurante dell’evidenza oggi disvelata. Che all’interno del Partito Democratico nessuno abbia ancora non dico chiesto scusa, ma almeno compiuto una severa autocritica sulla scelta del 2008 (che non ha rappresentato un incidente di percorso, bensì evidentemente il sintomo di un indirizzo sbagliato, solo in parte corretto dalla gestione Bersani), è ragione di qualche tristezza. Non vorremo pensare che Franceschini, nella dichiarazione di oggi, abbia omesso anche questo secondo nome di transfuga (sia pure anch’egli via API) per rispetto verso chi l’aveva sia pur flebilmente sostenuto nelle primarie contro Bersani.

E poi nella circoscrizione Veneto 2 ha vinto il suo seggio Catia Polidori, pur originaria dell’Alta val Tiberina: laureata in economia dell’Università di Siena, ha trovato lavoro nelle aziende di famiglia e si è rapidamente distinta in fondazioni e associazioni imprenditoriali. Il suo voto, secondo suoi colleghi di partito, sia stato propiziato da promesse del premier dirette non già alla sua impresa edile, bensì al sig. Francesco Polidori, fondatore e presidente del CEPU, il quale ha nel frattempo già ottenuto che l’università “e-campus” da lui stesso fondata e lautamente finanziata venga ammessa, tramite apposita norma del DDL Gelmini, al riparto del 20% dei fondi per gli atenei privati. Non insisteremo sulla controversa questione della parentela fra i due Polidori, in fondo irrilevante: poiché vivono nello stesso paesino, Fraccano (sulla strada che da Città di Castello mena ad Acqualagna e Urbino), e pare assodato che si frequentino con costanza. Ciò che importa è che l’università E-campus, fondata nel 2006, tra qualche mese, compiuto il quinto anno dalla sua istituzione, potrà essere equiparata a tutti gli effetti a un’università privata, previo un giudizio del Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario che a questo punto non è difficile immaginare positivo (o alla peggio ininfluente, visto che su precedenti pareri contrari si è bellamente passato sopra).

Con quasi 13 mila studenti all’attivo, il business di queste università telematiche, la cui figura giuridica fu creata dal ministro Moratti al crepuscolo del penultimo governo Berlusconi, è particolarmente succulento: non è un caso che l’iniziale orientamento del ministro Gelmini verso la riduzione di tali istituzioni sia stato contraddetto dalla versione finale del ddl, in specie dopo che il premier in persona ha visitato il 19 luglio scorso la fiammante sede dell’ E-campus a Novedrate in Brianza, elogiando le belle studentesse che “non sono mica come la Bindi”.