Bill Gates contro l’ottimismo

Sul Wall Street Journal la critica del libro di Matt Ridley, che immagina un mondo in cui i problemi si risolvono da soli

Bill Gates ha letto The Rational Optimist: How Prosperity Evolves, il libro del giornalista e divulgatore scientifico Matt Ridley, e sul Wall Street Journal ha spiegato in un lungo articolo perché alcune teorie non gli sono proprio piaciute. Del lavoro di Ridley avevamo parlato lo scorso maggio qui sul Post, illustrandovi i contenuti principali del libro che fonde in un unico racconto antropologia, psicologia, genetica, economia e teorie matematiche nel tentativo di trovare l’unico grande motore che ha portato alla nostra evoluzione nel corso della storia.

Nella sua recensione sul Journal, cui è poi seguita una replica dell’autore del libro, Bill Gates riconosce a Ridley la capacità di aver fuso insieme teorie e materie anche molto diverse tra loro, mettendo per esempio in evidenza la propensione naturale della nostra specie allo scambio e alla condivisione, elementi fondamentali per l’evoluzione anche culturale. Il cofondatore di Microsoft critica però due particolari passaggi del libro in cui Ridley sostiene la necessità di cambiare il nostro approccio nei confronti di alcune tematiche come il riscaldamento globale o la povertà in Africa.

Seguendo il suo “ottimismo razionale”, Ridley spiega che i due problemi potranno avere un’evoluzione positiva anche senza interventi diretti o grandi investimenti da parte del genere umano. Le cose vanno come devono e, guardandoci alle spalle, il progresso ci ha consentito di ottenere migliori condizioni di vita, sconfiggere malattie, ridurre le epidemie e vivere in migliori condizioni di benessere, dice Ridley senza convincere Gates che osserva:

Ridley impiega quattordici pagine per dire che tutto andrà bene in Africa senza preoccuparsi delle possibilità negative. Si tratta di una posizione errata e maldestra. Il suo ottimismo è giustificato dal fatto che le cose alla fine vanno per un loro verso? O i risultati positivi dipendono in parte dalla nostra capacità di occuparci e prevenire i problemi? Queste sono domande importanti alle quali non risponde.

Gates critica anche la scelta di Ridley di aderire alle teorie di chi è da sempre critico nei confronti degli aiuti economici per l’Africa. Secondo i detrattori, l’invio di denaro per sostenere attività umanitarie nei paesi africani si è rivelato fallimentare e non ha portato a vere possibilità di sviluppo. Gates, da anni impegnato con la propria fondazione nella creazione di iniziative benefiche per l’Africa, rifiuta questa impostazione e ricorda quanto siano stati importanti gli aiuti per ridurre – per esempio – la crescita demografica in alcune aree del continente. Il rallentamento di questo fattore ha permesso di rinvigorire le economie locali, gettando le basi per una crescita economica più stabile.

Ridley e Gates sono comunque d’accordo su un punto: il progresso consentirà di trovare soluzioni per tenere a bada la malaria e l’AIDS, riducendo sensibilmente il tasso di mortalità nei paesi africani. Per Gates, però, i benefici delle nuove cure e dei nuovi vaccini potranno essere portati nel continente solamente grazie al meccanismo degli aiuti, almeno nel breve termine, a riprova dell’importanza delle iniziative umanitarie per lo sviluppo futuro dei paesi africani e per il miglioramento delle condizioni di vita.

Le teorie di Ridley sulla positiva evoluzione del problema del riscaldamento globale anche senza un impegno diretto dell’uomo convincono poco Gates:

Ridley liquida le preoccupazioni sul cambiamento climatico come un’altra questione di pessimismo infondato. La sua argomentazione in questo capitolo è provocatoria, ma l’autore fallisce nel dimostrare perché non dovremmo investire nella riduzione dei gas serra. Ho chiesto a Ken Caldeira, uno scienziato che studia ecologia globale al Carneige Institution of Science, di dare un’occhiata a questa parte del libro. Secondo lui, Ridley celebra la riduzione delle emissioni inquinanti negli Stati Uniti ma non si rende conto come questo sia stato reso possibile grazie alle nuove leggi governative basate sulle evidenze scientifiche contestate proprio da Ridley.

A Gates non sono nemmeno piaciute le considerazioni finali del libro, dove l’autore identifica nelle grandi multinazionali uno dei principali ostacoli per il progresso e immagina un «futuro senza corporation con un sistema economico post-capitalistico». Una «frase a effetto sciocca» secondo il cofondatore di Microsoft, anche perché nel libro Ridley non si prende poi la briga di spiegare il modello alternativo che dovrebbe subentrare a quello basato sul capitalismo. Senza le corporation, ricorda il creatore di una delle più grandi e ricche società al mondo, la ricerca andrebbe avanti molto meno speditamente ottenendo risultati qualitativamente inferiori.

Sempre sulle pagine del Wall Street Journal, Ridley ha risposto alle numerose obiezioni sollevate da Bill Gates, confermando sostanzialmente quanto scritto nel libro e provando e chiarire alcuni passaggi, rimasti forse poco chiari e tali da generare incomprensioni. Sull’Africa, per esempio, Ridley ricorda di aver scritto nel libro che alcuni dei problemi più urgenti del continente possono essere alleviati o risolti con il meccanismo degli aiuti internazionali, sottolineando però che «statistiche, casi di studi e aneddotica dimostrano che una cosa che gli aiuti non possono fare in maniera sensibile è quella di accelerare la crescita economica».

Citando alcuni studi, ripresi anche in The Rational Optimist, Ridley scrive che in molti casi gli aiuti hanno fatto più danno che altro, rallentando la crescita economica di alcuni paesi africani. Le risorse provenienti dall’esterno fanno ridurre gli investimenti nel mercato interno e la maggiore disponibilità di denaro, ottenuto senza nulla in cambio, porta spesso i governi ad aumentare in maniera irresponsabile la spesa pubblica, producendo sprechi e danni per la popolazione.

Infine, Ridley contesta a Gates di sopravvalutare il ruolo delle grandi multinazionali e delle corportation nell’innovazione. Certo, le grandi società hanno realizzato e realizzano soluzioni e prodotti che ci migliorano la vita, ma le grandi innovazioni secondo l’autore del libro non sono arrivate dalle corporation, ma semmai da chi si è comportato fuori dagli schemi e solo successivamente ha fatto rendere la propria idea attraverso una società. Il cofondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, uno dei fondatori di Google, Sergey Brin, e lo stesso Bill Gates hanno agito in questo modo, dimostrando la superiorità dell’idea che rompe gli schemi portando progresso e innovazione.