Eravamo moderni

Un saggio rilegge gli anni Ottanta a partire da cosa è successo dopo

Alla radicata gogna pubblica a cui sono stati esposti per molto tempo gli anni Ottanta è a un certo punto succeduto un revisionismo un po’ interessato e bastian contrario che ha provato a sostenere che invece negli anni Ottanta ci si divertiva un sacco (trascurando che questa fosse una delle critiche). Più di recente, soprattutto alla luce di quello che è arrivato dopo, ci sono stati ripensamenti più equilibrati e attenti alla prospettiva storica (e meno al Drive-In). Stamattina sulla Stampa Massimiliano Panarari recensisce un saggio di Marco Gervasoni – “Quando eravamo moderni” – che fa un’analisi di questo genere.

C’è chi dice che noi italiani siamo ancora premoderni. Sicuramente ora siamo, e decisamente, postmoderni. Accidenti, ma, allora, moderni mai? Così sembrerebbe… E, invece, sostiene adesso qualcuno, sia pur per un non lunghissimo lasso di tempo, siamo stati addirittura modernissimi. Negli adorati (o famigerati) Anni Ottanta, dopo i quali nulla, effettivamente, sarebbe stato più come prima.
“Cosa resterà di questi anni 80», cantava, alla fine di quel decennio, Raf. Già, proprio una bella domanda, che prelude a un’eredità problematica e controversa, sulla quale si esercitano, sempre di più, anche gli intellettuali. L’ultima occasione per discuterne la fornisce un volume, uscito da poco, scritto dal giovane storico Marco Gervasoni e dedicato, giustappunto, alla Storia d’Italia degli anni Ottanta (Marsilio, pp. 254, e20), che porta l’eloquente sottotitolo Quando eravamo moderni.

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