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  • Domenica 19 settembre 2010

Alla conquista del Nord

Il Wall Street Journal ipotizza la crescita economica dell'Artico grazie alle risorse scoperte per lo scioglimento dei ghiacci

Stati Uniti, Canada, Groenlandia, Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia. Sono le otto nazioni che hanno territori nel circolo polare Artico, quelle che secondo Laurence H. Smith sul Wall Street Journal nel 2050 formeranno il New North, il Nuovo Nord, un’area geopolitica che copre la parte settentrionale del pianeta che potrebbe cambiare l’assetto socioeconomico mondiale.

La tesi è azzardata, ma ha molti punti di appoggio concreti. Primo fra tutti, la stima condivisa da molti scienziati per cui buona parte delle risorse minerarie e petrolifere della Terra si trovi sotto i ghiacci che nel corso degli anni si stanno pian piano sciogliendo nell’Artico. Avevamo già scritto a proposito dell’interessamento del Canada, che da qualche anno si sta muovendo in anticipo sugli altri paesi per assicurarsi che le venga riconosciuta una buona fetta dei territori polari: il ministro degli esteri canadese Lawrence Cannon ha presentato il primo piano del Canada sulla politica estera nell’Artico e sono state diverse le spedizioni e le esercitazioni militari nell’area, anche da parte di Russia e Norvegia, due nazioni che solo in questi mesi sono arrivate a un accordo dopo quattro anni di discussioni sui confini artici. E lo stesso Canada sta portando avanti uno studio da 75 milioni di euro per stabilire l’entità delle riserve minerarie. Andare a Nord, è una prospettiva concreta.

Se la California dovesse entrare in un lungo periodo di siccità, le persone deciderebbero di trasferirsi in Minnesota? Gli spagnoli potrebbero puntare alla Svezia? E la Russia potrebbe, un giorno, reinstaurare l’idea sovietica di costruire un canale di 1.600 miglia tra la Siberia e l’Aral per invitare gli ex agricoltori di cotone kazaki e uzbeki ad abbandonare i loro campi polverosi e sistemarsi in Siberia, per lavorare nelle miniere di gas?

Le risorse e le opportunità economiche della zona potrebbero attirare investitori, quindi lavoratori, quindi comunità di abitanti. Due fattori indicativi del sempre più crescente interesse verso il Polo Nord sono il turismo e i programmi di ricerca e sviluppo. Nel 2004 1,2 milioni di persone hanno viaggiato in zone artiche, mentre nel 2007 il numero è triplicato. La U.S. National Science Foundation sta investendo mezzo miliardo di dollari annui in investimenti su ricerche nell’Artico, più del doppio di quanto facesse negli anni Novanta. La NASA e l’Agenzia Spaziale Europea stanno sviluppando nuovi satelliti per mappare le regioni polari come non hanno mai fatto prima.

È vero che il circolo polare Artico inizia al 66° parallelo circa, e le condizioni della zona sarebbero troppo impervie (e i terreni non ghiacciati poco vasti) per radunare quantità rilevanti di coloni. Ma, scrive Smith, abbassando l’analisi sulle regioni più a nord del 45° parallelo la zona in questione diventerebbe il 15 per cento dell’intera superficie del pianeta, e di questa ben il 29 per cento sarebbe tundra non ghiacciata, quindi vivibile. Un territorio del genere — il cuore dell’Artico più la sua periferia — contiene 12 milioni di miglia quadrate, più del triplo della Cina, e 250 milioni di persone. Ovviamente, la vita non si svilupperebbe nelle zone rurali ma intorno ai grandi conglomerati già esistenti: Toronto, Montreal, Vancouver, Seattle, Minneapolis-St. Paul, Ottawa, Reykjavik, Copenhagen, Oslo, Stoccolma, Helsinki, San Pietroburgo e Mosca. Tutte città che stanno vivendo un’urbanizzazione sempre più rapida.

Per comprendere quante possibile ci siano che una nuova società possa svilupparsi in quest’area, Smith parte dalla base del problema: cosa fa funzionare una civiltà?

Nel suo libro Collapse, Jared Diamond setaccia la storia per capire perché una civilità non funzioni. Identifica cinque pericoli che possono minacciare una società esistente: danni autoinflitti all’ambiente e all’ecosistema, perdita di partner commerciali, nazioni vicine ostili, condizioni climatiche avverse e come una società sceglie di reagire ai problemi ambientali. Ognuno di questi fattori, dice Diamond, mette in crisi un insediamento esistente. Più di questi fattori, o tutti insieme, spingeranno la società all’estinzione. Capovolgendo la domanda: cosa porta alla nascita di una nuova civiltà? Prima cosa e più importante è l’incentivo economico, poi la volontà colonizzatrice, un sistema di leggi stabile, buoni partner commerciali, paesi confinanti amici e un cambio climatico positivo. Tutti gli otto paesi che fanno parte del circolo polare Artico soddisfano questi requisiti, chi più chi meno.

Quello che si immagina Smith non è un popolamento improvviso e vasto della regione ma qualcosa, scrive, simile all’America del 1803. Un’enorme area quasi del tutto disabitata, con qualche città isolata che nel corso degli anni cresce e si espande sempre più velocemente — come Phoenix, Salt Lake e Las Vegas — acquisendo importanza sempre maggiore dal punto di vista economico e culturale.

Il Nuovo Nord nel 21esimo secolo non sarà per prima cosa un posto in cui trasferirsi, ma un motore economico che spala metano, petrolio, minerali e pesce nelle fauci aperte del resto del mondo.

(illustrazione del Wall Street Journal)