La cronaca dell’attacco al peschereccio

Il Corriere della Sera racconta la ricostruzione dei fatti da parte dei finanzieri italiani che erano sulla motovedetta libica

Il Corriere della Sera offre oggi un resoconto abbastanza dettagliato dello svolgimento dell’attacco al peschereccio italiano da parte di una motovedettta libica avvenuto due giorni fa, a partire dai racconti forniti dai finanzieri italiani che erano a bordo della motovedetta.

Quando i libici hanno cominciato a sparare contro il peschereccio «Ariete» i militari della Guardia di finanza sono scesi sottocoperta. È l’incredibile dettaglio che emerge dai primi atti raccolti dai funzionari del Viminale incaricati di svolgere accertamenti per capire che cosa sia davvero accaduto domenica pomeriggio e stabilire se le procedure siano state rispettate. Mentre dalla motovedetta partiva la sventagliata, i finanzieri sono dovuti uscire di scena perché questo prevede l’accordo firmato dai due Paesi. Non solo. Il trattato assegna loro compiti di «supporto e addestramento». E vieta che possano «eseguire controlli sui mezzi navali individuati » e impone che salgano a bordo «in abiti civili, scevri da ogni segno distintivo».
Attraverso gli ufficiali di collegamento che si trovano a Tripoli, la commissione guidata dal prefetto Rodolfo Ronconi ha acquisito le testimonianze dei due sottufficiali che insieme ai quattro «tecnici» erano sulla motovedetta. Secondo il loro racconto «il motopesca è stato avvistato a 30 miglia dalla costa verso le 18 e subito gli è stato intimato di fermarsi». «Ariete» non ha obbedito all’ordine e anzi ha cercato di allontanarsi il più possibile. I libici hanno dunque deciso di insistere e di mettersi all’inseguimento. «Il primo avviso – hanno dichiarato i militari italiani – è stato inviato con messaggi acustici, il secondo via radio in lingua inglese, il terzo con messaggi ottici». È a questo punto che uno dei finanzieri avrebbe deciso di avvisare il comandante di «Ariete» — ancora una volta via radio—delle inevitabili conseguenze. «Quando ci siamo resi conto che non avevano intenzioni di fermarsi — avrebbe spiegato il finanziere — abbiamo deciso di avvertirli che i libici erano determinati a fare fuoco. I militari che erano con noi a bordo della motovedetta erano pronti ed è stato in quel momento, cioè quando sono partiti gli spari ad altezza di scafo, che siamo scesi sottocoperta».

(continua a leggere sul sito del Corriere della Sera)