Finiani, tira aria di rientrare nei ranghi?

Urso e Baldassarri parlano di percorso già avviato, ma altri non dimenticheranno facilmente le violenze di luglio

© Marco Merlini / LaPresse
04-08-2010 Roma
Politica
Camera dei deputati, aula, dichiarazioni di voto e voto sulla mozione di sfiducia al sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo
Nella foto Italo Bocchino e Adolfo Urso

© Marco Merlini / LaPresse
Rome, 08-04-2010
Politic
House of Parliament, vote statement and vote about the distrust motion for the Justice Undersecretary, Giacomo Caliendo
In the photo Italo Bocchino and Adolfo Urso
© Marco Merlini / LaPresse 04-08-2010 Roma Politica Camera dei deputati, aula, dichiarazioni di voto e voto sulla mozione di sfiducia al sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo Nella foto Italo Bocchino e Adolfo Urso © Marco Merlini / LaPresse Rome, 08-04-2010 Politic House of Parliament, vote statement and vote about the distrust motion for the Justice Undersecretary, Giacomo Caliendo In the photo Italo Bocchino and Adolfo Urso

Divenuta meno credibile l’ipotesi di elezioni a breve – almeno per i prossimi quindici minuti -, e allentatesi un po’ le tensioni e le possibilità di risse stradali in seno alla maggioranza, il nuovo evento nuovo da ricercare per l’informazione politica non è più bellicoso ma pacifista: ovvero il possibile rientro dei finiani di Futuro e Libertà dentro al PdL. Lo si abbozza da qualche giorno e oggi ne parlano apertamente la Stampa e il Corriere della Sera intervistando due esponenti finiani.

Sulla Stampa l’onorevole Urso chiede di “resettare tutto” ed esclude la formazione di un nuovo partito.

Come uscirete dall’impasse?
«C’è bisogno di riavvolgere il film e di resettare tutto come disse, inascoltato, Gianfranco Fini nelle ore in cui veniva illegalmente espulso dal partito».
Come lo si riavvolge il film?
«Ci vuole un gesto da parte del premier. Un gesto che restituisca a Fini il ruolo che gli spetta nel partito che ha contribuito a fondare. Bisogna convocare una direzione nazionale che riscriva il patto di legislatura».
Le sembra far finta che non sia successo nulla?
«Che la soluzione sia obbligata non lo dico io, lo dicono per primi Pdl e Lega».
E se il gesto che lei auspica non arrivasse?
«Ne prenderemo atto. In quel caso potremmo firmare un patto federativo con il Pdl. L’unica cosa sicura, come conferma Casini, è che non si va a votare e che la maggioranza non cambierà».
Fini a Mirabello annuncerà la nascita di un nuovo partito?
«Non credo».
Anche perché se lo facesse, dicono maligni nel Pdl, i vostri deputati sarebbero esclusi dal Partito popolare a Strasburgo. Non è così?
«La fondazione Farefuturo è rappresentante in Italia delle altre fondazioni del popolarismo europeo. Credo che nel Ppe ci considerino più autenticamente popolari dello stesso Pdl».
Dunque? Nessun partito ma autonomi nel Pdl? Come è possibile?
«Ove lo strappo non si ricucisse, saremo innovativi sul piano culturale e organizzativo. Sorprenderemo molti».

Sul Corriere, invece, a parlare è il senatore Mario Baldassarri, per cui il percorso sarebbe già iniziato, senza nemmeno bisogno di chiedere scusa.

Si parla di un possibile rientro dei finiani nel Pdl.
«C’è un percorso avviato che alla fine prevede questa ipotesi. Ma noi ci sentiamo nel Pdl, se consideriamo cosa c’era nel suo codice genetico: rivoluzione liberale, federalismo, alleggerimento dello Stato».
Ci vuole prima un “atto riparatorio” nei confronti di Fini?
«Sarebbe sufficiente che non ci fossero altri atti di arroganza»
Il clima fra voi e Berlusconi è comunque più disteso?
«Dopo il polverone di ferragosto, mi pare sia tornato il confronto sulla politica. Ora si devono correggere due squilibri: un governo a trazione leghista con sponda del ministro dell’Economia e il programma ridotto al federalismo fiscale. Non è che con il federalismo le galline fanno cinque uova al giorno».

La Stampa ospita anche un’analisi di Ugo Magri che sottolinea i tentativi di pacificazione e scurdammoc’o passato.

Riavvolgere il film delle ultime settimane: chissà se Berlusconi, potendo, accetterebbe la raccomandazione che gli viene da amici di lunga data. Azzerare tutto. Rimangiarsi l’espulsione per decreto di Fini. Condannare le aggressioni dei suoi giornali alla famiglia Tulliani. Cucirsi la bocca nei confronti del Quirinale. Insomma, prendere atto una volta per tutte che le cariche a testa bassa non lo liberano dai guai. Semmai, peggiorano la condizione…
Sono tanti, nelle ultime ore, quelli che cercano di spingere il Cavaliere a più miti consigli. Non solo «pacifisti» alla Gianni Letta. Praticamente l’intero gruppo di vertice del Pdl, la vecchia guardia, è su questa lunghezza d’onda. Ma pure alleati ruvidi come Umberto Bossi. E addirittura «colombe» insospettabili come l’avvocato Ghedini, il quale sa perfettamente che solo in un clima di autentica pacificazione con Fini potrebbe strappare un «salvacondotto» giudiziario per il suo cliente, alle prese con processi (vedi Mills) vicini a concludersi con la condanna.

Secondo Magri non è una maggior serenità e disponibilità a suggerire la possibilità di una riappacificazione, ma ragioni concrete di sopravvivenza. L’unica cosa su cui Berlusconi non può cedere è il processo breve: “L’enorme «rospo» di Fini si può ingoiare, aggiungono, ma a patto che Berlusconi venga sottratto una volta per tutte alle grinfie dei «giudici comunisti»”.

Contro Fini l’offensiva è fallita, si combatte nel fango, avanti di questo passo perderà pure la guerra nella vana attesa dell’«arma segreta» (qualche rivelazione choc sull’appartamento di Montecarlo) che forse non arriverà mai. Quindi occorre trattare adesso, quando ancora è possibile in condizioni onorevoli. Ascoltando che cosa vuole Fini, e se si tratta di proposte fondate sul buonsenso accettarle. Rinunciando nel frattempo a bombardare il presidente della Camera, a chiederne le dimissioni, a epurare i suoi uomini, a tentare di spaccargli il gruppo. In una parola, Berlusconi viene invitato ad attendere che cosa Gianfranco dirà domenica a Mirabello, quando si rivolgerà al Paese (come anticipano i finiani) «e lì fisserà i suoi paletti».
In che cosa consistano questi «paletti», nessuno sa dirlo. Ma agli ambasciatori leghisti (Cota e Calderoli) qualcosa Fini ha lasciato intuire. Il presidente della Camera metterà radici nel centrodestra, deludendo quanti vorrebbero spingerlo nel Terzo Polo casiniano. E dirà più o meno al Cavaliere: se desideri governare fino al 2013, non hai che due chances. O ti rimangi l’editto in cui mi dichiari «incompatibile» dal Pdl. Oppure garantisci un’alleanza elettorale al partito che, fuori dal Pdl, dovrei fondare. A te, caro Silvio, la scelta…
Se davvero Fini pronuncerà l’aut-aut, come scommettono queste fonti leghiste, nel campo berlusconiano si aprirà la bagarre. Qualcuno suggerirà al Cavaliere di rispondere «m….» proprio come il generale Cambronne a Walterloo. Altri (sulla scia di Giuliano Ferrara) suggeriranno di «resettare» le polemiche, restituendo a Fini la «compatibilità» e a Bocchino la carica di vice-capogruppo vicario. Altri ancora sosterranno, invece, che un via libera al partito finiano sarebbe in fondo il male minore (è la soluzione preferita da Bossi). Ma tutti, proprio tutti, inviteranno Silvio a tener duro sul processo breve. Come minimo Fini dovrà provare la sua lealtà sostenendo la legge che, nelle pieghe della disciplina transitoria, cancella i processi contro il premier.

Una nuova ipotesi di cui parlare per i prossimi giorni, insomma: anche se un conto è interpellare Urso e Baldassarri ed evocare il conciliante Letta, altro è immaginare che Bocchino, Granata, Perina, Briguglio, dimentichino i linciaggi di luglio. Per non parlare dello stesso Fini.