Perché Kim Jong-Il ha affondato una nave sudcoreana?
La tensione tra Sud e Nord Corea va avanti da decenni: perché attaccare proprio adesso?
Sono diversi giorni ormai che le Coree si stanno minacciando a vicenda. La Sud Corea con sanzioni politiche — ha chiesto l’intervento delle organizzazione internazionali —, la Nord Corea con movimenti militari: ha dichiarato di aver messo in stato d’allerta l’esercito, che sarebbe pronto alla guerra.
Tutto è nato dall’affondamento di una corvetta sudcoreana da parte di un siluro, in cui sono morti 46 membri dell’equipaggio. Dopo settimane di investigazione, le autorità sudcoreane — appoggiate dagli Stati Uniti — hanno accusato il regime di Pyongyang di aver deliberatamente attaccato la nave. Da quel giorno in poi, è partita un’escalation di chiusure e intimidazioni commerciali e militari, culminata nella rimozione dell’accordo di non belligeranza da parte del presidente nordcoreano Kim Jong-Il.
Ma la domanda a cui per ora nessuno ha una risposta è: perché la Corea del Nord avrebbe attaccato una nave sudcoreana immaginando già le conseguenze — tra le quali il coinvolgimento degli Stati Uniti? Se Kim Jong-Il stesse bluffando sulle minacce, c’era davvero bisogno di affondare una nave per poter arrivare a questo? E se non sta bluffando e cerca sul serio la guerra, perché proprio adesso, dopo decenni e decenni di tensioni stabili tra i due paesi?
Risposte chiare a queste domande non ce ne sono. Robert Egan è uno strano personaggio, di cui il Washington Post racconta qui la storia: proprietario di una catena alimentare, attraverso una rete di conoscenze nel corso degli anni sarebbe diventato una specie di ambasciatore non ufficiale della Nord Corea negli Stati Uniti. Ha avuto rapporti stretti con l’ex ambasciatore di Saddam in America, e ne ha ora con l’attuale ambasciatore di Pyongyang. Un diplomatico atipico, che in un colloquio con un giornalista di Daily Beast ha dichiarato di aver sentito telefonicamente più volte i diplomatici nordcoreani, e di essere totalmente certo che l’affondamento della corvetta sia stato un errore.
Sì, la fonte non è tra le più attendibili, ma la spiegazione ha un suo senso. Tutto ruota intorno alla genesi dell’attacco, cioè se sia stato o meno ordinato direttamente dal presidente. La Sud Corea e gli Stati Uniti dicono di sì, Egan dice di no. E se fosse vero, se fosse stato un errore, una volta accusato Kim Jong-Il non avrebbe potuto fare diversamente da come sta facendo ora: se non avesse perseguito sulla strada della forza avrebbe rischiato di dimostrare debolezza.
Se invece l’attacco fosse stata ponderato, beh, i motivi sarebbero comunque oscuri. Slate prova a capirli: nel 2002 ci fu già uno scontro a fuoco tra navi delle due Coree in cui morirono quattro marinai sudocreani e ne vennero feriti diciotto. E nel 1999 un altro incidente del genere si chiuse con la morte di 17 nordcoreani. In questi, e in altri casi precedenti, gli scontri hanno sempre seguito accuse di sconfinamento oltre le acque territoriali nei confronti delle navi nordcoreane. Secondo una spiegazione, le perdite subite in alcuni di questi conflitti avrebbero determinato la Corea del Nord a mostrare maggiore aggressività e a non vedere ancora umiliata la sua forza militare. Una prova di forza, anche per fini interni di mantenimento del potere.
Ma Slate conclude che troppo poco sappiamo di quello che avviene a Pyongyang per poter fare analisi chiare delle sue scelte politiche e militari. Di certo, il confine delle acque territoriali imposto nel 1953 dagli americani non è riconosciuto dalla Corea del Nord: e questa condizione non può che generare nuovi scontri fino a che non sarà risolta.