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  • Sabato 4 aprile 2015

Gli arabi e l’accordo sul nucleare iraniano

Le reazioni dei nemici tradizionali dell'Iran, come l'Arabia Saudita, sono state molto moderate: c'entra la guerra in Yemen e la politica sempre più diffusa del "fare da soli"

U.S. Secretary of State John Kerry walks with Saud bin Faisal bin Abdulaziz Al Saud, Foreign Minister of Saudi Arabia, before a visit with Saudi King Salman bin Abdulaziz al-Saud at Diriya Farm, on Thursday, March 5, 2015, in Diriya, Saudi Arabia. Kerry planned to meet with Arab Gulf state allies in Riyadh Thursday before sitting down with the foreign ministers of France, Britain, and Germany in Paris on Saturday to share the state of the Iran nuclear negotiations. (AP Photo/Evan Vucci, Pool)
U.S. Secretary of State John Kerry walks with Saud bin Faisal bin Abdulaziz Al Saud, Foreign Minister of Saudi Arabia, before a visit with Saudi King Salman bin Abdulaziz al-Saud at Diriya Farm, on Thursday, March 5, 2015, in Diriya, Saudi Arabia. Kerry planned to meet with Arab Gulf state allies in Riyadh Thursday before sitting down with the foreign ministers of France, Britain, and Germany in Paris on Saturday to share the state of the Iran nuclear negotiations. (AP Photo/Evan Vucci, Pool)

L’accordo preliminare sul programma nucleare iraniano raggiunto giovedì 2 aprile tra i rappresentanti dell’Iran e quelli dei paesi del cosiddetto gruppo “5+1″, cioè i cinque che hanno il potere di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina) più la Germania, è destinato ad avere un impatto molto forte sulla politica del Medio Oriente. L’Iran non è soltanto un nemico degli Stati Uniti e di Israele, ma lo è anche di molti paesi arabi, tra cui l’Arabia Saudita. Negli ultimi giorni diversi analisti occidentali e arabi si sono occupati delle possibili conseguenze di un accordo di questa portata soprattutto sulle relazioni tra Stati Uniti e suoi alleati. Abbiamo messo in fila un po’ di commenti e pareri, per capire qualcosa di più su come il nucleare iraniano riesca a coinvolgere e condizionare la politica di molti paesi arabi del Medio Oriente.

Qual è il problema?
In seguito alla rivoluzione del 1979, l’Iran è diventata una teocrazia guidata dal clero sciita (una branca dell’Islam differente da quella sunnita, che invece è praticata nella maggioranza dei paesi musulmani), e da allora i suoi rapporti con i paesi arabi sunniti sono peggiorati considerevolmente. Tra il 1980 e il 1988 l’Iran ha combattuto una guerra sanguinosa contro l’Iraq sunnita di Saddam Hussein – che era finanziato, oltre che dagli Stati Uniti, da gran parte degli altri paesi arabi della regione. Negli anni successivi Iran e paesi arabi sunniti si sono scontrati in diverse guerre “per procura”, nelle quali il regime iraniano e quelli arabi finanziavano le fazioni a loro più vicine per cercare di estromettere l’influenza dei propri rivali.

Le “guerre per procura” continuano ancora oggi. Per esempio l’Iran è un grande finanziatore del regime di Bashar al Assad in Siria, mentre i paesi sunniti – in particolare quelli che affacciano sul Golfo Persico – appoggiano diversi gruppi ribelli, anche quelli più estremisti vicini ad al Qaida. In Libano, l’Iran appoggia il movimento sciita Hezbollah, considerato un gruppo terrorista da buona parte della comunità internazionale, mentre i paesi arabi sono dalla parte delle fazioni sunnite. Oggi lo scontro più diretto tra paesi arabi e Iran è in corso in Yemen, dove i ribelli Houthi appoggiati e finanziati dall’Iran sono riusciti a far allontanare il presidente Abdel Rabbo Monsour Hadi, sostenuto dall’Occidente e anche dai paesi arabi sunniti (in Yemen, come in molte altre guerre del Medio Oriente, le divisioni settarie spiegano però solo una parte delle violenze). Le tensioni in Yemen, che già in diversi chiamavano da settimane “guerra civile”, hanno spinto Arabia Saudita ed Egitto ad intervenire militarmente, appoggiati da altri paesi arabi.

Cosa c’entra l’accordo con l’Iran?
I parametri stabiliti a Losanna, che saranno perfezionati e formalizzati in un accordo più comprensivo da negoziare entro la fine di giugno, limitano molto la capacità dell’Iran di arricchire l’uranio, prevedono dei controlli internazionali alle installazioni nucleari iraniane e accordano una sospensione futura delle sanzioni economiche imposte da Stati Uniti e Unione Europea sull’Iran. Come hanno scritto alcuni analisti, tuttavia, per alcuni paesi arabi gli specifici parametri dell’accordo sono una questione secondaria. Quella primaria è il fatto che gli Stati Uniti abbiano raggiunto un accordo con l’Iran: quindi che ci abbiano negoziato e che gli abbiano riconosciuto una legittimità internazionale necessaria per farlo. Altri si chiedono che cosa abbiano dovuto concedere gli Stati Uniti all’Iran per ottenere un accordo così vantaggioso, definito “storico” ma anche “inaspettato” dalla stampa internazionale. Un attivista siriano intervistato dal New York Times ha detto: «L’Iran ha fatto alcune concessioni, ma il mio timore è che abbia ricevuto il via libera per estendere la sua influenza in Iraq, Libano, Siria e Yemen».

Il nodo più critico dell’accordo, dicono i suoi critici, riguarda l’aspetto economico: in passato le sanzioni internazionali, unite al calo nel prezzo del petrolio (la principale risorsa economica dell’Iran), hanno danneggiato molto l’economia iraniana, impedendo al paese di investire una grande quantità di risorse in attività estere, in particolare nel finanziamento di gruppi considerati terroristici. Con un miglioramento delle condizioni economiche – che sarebbe determinato dalla sospensione delle sanzioni (non tutte comunque: nell’accordo si parla delle sanzioni imposte per lo sviluppo del nucleare, mentre quelle che riguardano altri settori dovrebbero rimanere escluse) – le cose potrebbero cambiare: diversi commentatori arabi hanno scritto che l’Iran potrà usare le nuove risorse per sostenere alcuni suoi alleati all’esterno, come il regime siriano di Assad.

Quali sono state le reazioni?
L’agenzia di stampa Reuters ha notato come subito dopo la notizia dell’accordo non ci siano stati commenti ufficiali da parte dei paesi arabi che affacciano sul Golfo Persico, quelli in genere più preoccupati e ostili all’Iran. I commenti sono arrivati nei giorni successivi, ma soltanto dopo che il presidente americano Barack Obama ha tranquillizzato i suoi alleati arabi. Obama ha telefonato a re Salman dell’Arabia Saudita per rassicurarlo sull’amicizia che lega i due paesi e quasi nelle stesse ore ha autorizzato il rifornimento in volo degli aerei sauditi impegnati nei bombardamenti in Yemen.

Nei suoi comunicati ufficiali, il governo saudita è sembrato apprezzare il gesto e ha detto di sperare che «l’accordo [con l’Iran] porti ad un rafforzamento della sicurezza e della stabilità nella regione». Un funzionario egiziano ha detto al Wall Street Journal che il governo del suo paese non si oppone all’accordo con l’Iran, ma ha aggiunto che, come quello dell’Arabia Saudita, spera che i controlli sullo sviluppo del programma nucleare iraniano saranno svolti con grande attenzione. Si tratta di reazioni tutto sommato moderate, nonostante la delicatezza del tema trattato: in parte, scrivono alcuni analisti, potrebbe dipendere dal fatto che la collaborazione e gli aiuti economici degli Stati Uniti sono molto importanti per la sicurezza di diversi paesi arabi, e per questo si sta cercando di fare tutto per non creare alcuna rottura diplomatica.

Potrebbe esserci anche un altro motivo, dice il Wall Street Journal: e cioè il fatto che da tempo molti paesi arabi abbiano cominciato a “fare da soli” e affrontare più direttamente gli alleati dell’Iran senza l’appoggio diretto degli Stati Uniti. L’amministrazione americana è stata accusata di essere stata a guardare le crisi mediorientali senza fare niente, lasciando che la situazione peggiorasse: in questo senso, l’impressione è che – con o senza accordo – i paesi arabi stiano rivendicando più libertà di manovra, e meno condizionamenti da parte degli Stati Uniti. L’accordo con l’Iran potrebbe essere un ulteriore motivo per i paesi arabi di risolvere in autonomia le crisi regionali, in un certo senso per controbilanciare potenziali relazioni future migliori tra americani e iraniani. La politica del “fare da soli” è stata attuata di recente in Yemen, quando i sauditi hanno cominciato a bombardare i ribelli Houthi seppur con l’appoggio logistico degli americani, e nella Lega Araba, quando i paesi membri hanno annunciato di voler formare una forza militare congiunta.

nella foto: il segretario di stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri saudita Saud bin Faisal bin Abdulaziz Al Saud a Diriya, in Arabia Saudita il 5 marzo 2014. (AP Photo/Evan Vucci, Pool)