• Mondo
  • Mercoledì 25 settembre 2013

Una legge contro il “revenge porn”?

Ci sono siti che permettono di pubblicare foto imbarazzanti di ex ragazze ma chiuderli è molto difficile, racconta il New York Times

Marianna Taschinger ha 23 anni e vive a Groves, in Texas. Cinque anni fa conobbe un ragazzo, ci uscì insieme per qualche tempo, si lasciarono, poi si rimisero insieme ed ebbero una relazione piuttosto seria. A un certo punto lui le chiese di scegliere un anello di matrimonio, ma nei mesi successivi la esortò anche a scattarsi e a inviargli alcune foto di lei nuda: «disse che nel caso non avessi voluto farlo, questo avrebbe voluto dire che non mi fidavo di lui e che non lo amavo davvero», ricorda Taschinger, che si fece alcune foto e gliele mandò. Nel dicembre del 2011 si lasciarono, questa volta definitivamente.

Un anno dopo Taschinger scoprì che una dozzina di sue foto erano finite su un sito di revenge porn, specializzato cioè nell’ospitare immagini di ragazze che avevano mandato proprie foto più o meno erotiche a ragazzi con cui la relazione era poi finita (revenge vuol dire vendetta). Ora Taschinger sta facendo causa sia al sito che ha ospitato le foto sia al suo ex fidanzato, che però ha negato tutte le accuse, affermando che all’epoca dei fatti non possedeva un computer. Negli ultimi anni, come racconta il New York Times in un recente articolo, sono sorti molti siti che permettono – oltre alla pubblicazione e alla condivisione delle foto – anche di associare le immagini delle ragazze ai loro contatti su Facebook, alla loro identità e ai loro dati. Alcune ragazze coinvolte in casi del genere hanno raccontato di aver perso il lavoro, di aver subìto stalking e approcci sessuali al supermercato.

Holly Jacobs, una ragazza americana che vive in Florida, ha raccontato di aver voluto cambiare nome in seguito a una vicenda simile e di aver poi ritrovato dopo pochi mesi, su vari siti, alcune sue foto associate al nuovo nome. Danielle Citron, che insegna Diritto della Privacy all’Università del Maryland e che sta scrivendo un libro sull’argomento, ha detto che pubblicare online foto della propria ex fidanzata nuda «è un modo molto semplice per rendere una persona non appetibile dal punto di vista lavorativo e affettivo, e inoltre metterla fisicamente a rischio».

Secondo il New York Times le legislazioni dei singoli stati americani sono poco attrezzate per condannare questo tipo di comportamenti e fermare la diffusione delle foto, mentre la legge federale tende esplicitamente a proteggere i gestori di siti Internet che ospitano materiale diffuso da altre persone. Hunter Moore, creatore del sito di revenge porn “isanyoneup.com”, nel 2011 aveva detto in un’intervista televisiva di non avere grandi sensi di colpa: «Perché dovrei? Vedo foto di ragazze nude tutto il giorno». Nel 2012 Moore chiuse il sito: è stato stimato che durante il suo periodo di attività gli fece guadagnare circa 10 mila dollari al mese di introiti pubblicitari. Nell’agosto del 2013 un tribunale del Michigan ha condannato un altro sito del genere, “yougotposted.com”, a versare 300 mila dollari a una ragazza di cui aveva pubblicato alcune fotografie: i gestori del sito, che hanno in corso almeno altre tre cause simili, hanno deciso di non contestare il verdetto né di respingere le accuse.

Secondo alcuni esperti legali, come Eric Goldman della Santa Clara University, ogni legge statale sul tema potrebbe potenzialmente infrangere il Primo Emendamento della Costituzione americana, cioè quello che – fra le altre cose – difende la libertà di stampa e di parola. Per ora le ragazze coinvolte in questo genere di storie hanno fatto causa ai gestori dei siti per violazione di copyright, invasione della privacy e – in alcuni casi – pornografia minorile: in ogni caso è molto difficile che fotografie rimaste online per alcuni mesi non restino in circolo per anni, oppure che vengano scaricate e pubblicate su altri siti. Fermare la loro diffusione, a meno che non si agisca immediatamente, è praticamente impossibile.

Mary Anne Franks, che insegna Diritto familiare all’Università di Miami e che ha aperto il sito “endrevengeporn.org” (“basta al revenge porn“), ha detto inoltre che i tentativi di creare una legislazione sul tema si scontrano spesso con un atteggiamento ostile verso le ragazze coinvolte in casi di questo genere, simile a quello di chi afferma che spesso parte della colpa di uno stupro è da attribuire al fatto che la vittima avesse indossato vestiti troppo provocanti: «nel momento in cui si viene a sapere che la ragazza ha volontariamente inviato le foto al proprio ragazzo, ogni solidarietà verso di lei sparisce».