Interpretare Colonia, fuori dai bar

La discussione sui fatti di Colonia è diventata una cosa tra maschi e per soli maschi. Nonostante non ci sia ancora chiarezza su quello che è successo, al centro del discorso ci sono loro: i barbari stupratori venuti da lontano, da una parte, e i maschi buoni di quel paradiso della libertà femminile che è l’Occidente, dall’altra. Non le donne, non la violenza contro le donne, non il sapere che le donne hanno accumulato su questa questione che le riguarda da sempre e ovunque. Cercare di capire Colonia è difficile, richiede ordine, ascolto e ben poche chiacchiere da bar. E richiede, ad alcuni e alcune, di non cedere a una sottovalutazione, a facili difese e contrapposizioni e, soprattutto, di abbandonare alcune posizioni “di maniera”. Se per capire Colonia è necessario uscire dai bar, è altrettanto necessario uscire dai salotti.

Le “nostre donne”
Gli attacchi di Capodanno sono stati strumentalizzati dai partiti politici di estrema destra e dai gruppi contro gli stranieri e contro l’Islam per criticare la politica dell’accoglienza: “stuprano le nostre donne, via di qui”. Sostenere questo significa cedere all’ideologia dello “scontro di civiltà”, lasciare il compito esclusivo di capire quello che è successo in Germania alla destra xenofoba e lasciare alla destra xenofoba il compito di immaginare delle risposte politiche.

Poi c’è una versione salottiera della teoria “stuprano le nostre donne, via di qui” e dice così: “io non sono come loro, le mie donne le ho sempre rispettate, non voglio essere assimilato a un islamista misogino”. Questa risposta viene contrapposta a chi dopo i fatti di Colonia (e sono state in molte a farlo) ha cercato giustamente di ricordare che in Germania e nel mondo la maggior parte dei femminicidi è commessa da uomini che hanno legami con le vittime, che la violenza di genere è soprattutto domestica, che ci riguarda da vicino, che un branco è un branco. Composto da maschi biondi, mori, bianchi, gialli, giovani, vecchi, buddisti, cristiani, musulmani. La violenza contro le donne, il sessismo, la limitazione della libertà delle donne non ha declinazione, né tempo, né luogo.

Ricordare questo non significa dire che la Germania è come l’Arabia Saudita, in tema di diritti. Significa però tener presente che le spiegazioni auto-rassicuranti non funzionano. Che non funziona cercare riparo nella retorica della “correttezza” e che non funziona ridurre la discussione a una nuova guerra tra maschi in cui le prede o il bottino da difendere, a seconda del fronte, restano le donne. Opporre i maschi barbari ai maschi occidentali significa opporre i maschi di un patriarcato ancora potente ai maschi dei rigurgiti patriarcali da salotto delle democrazie occidentali. Significa schiacciare le donne tra un branco di potenziali stupratori e quello di un branco di protettori o di cavalieri di un mondo evoluto. Insomma, riportare il punto sull’origine della violenza di genere è necessario perché i fatti di Colonia non finiscano nelle mani degli islamofobi ma anche perché, più in generale, non diventino un nuovo alibi per dire che le molestie e gli stupri sono qualcosa che “non ha a che fare con noi”. Questo non fa bene a nessuno.

Il doppio tradimento
Il timore di una risposta razzista ha portato i media tedeschi, l’amministrazione di Colonia e la polizia a sminuire quanto successo (e purtroppo, quello tedesco non è stato l’unico caso). Ma il loro balbettio ha fatto il gioco delle risposte razziste e della trappola di una riduzione dei fatti a una guerra tra maschi buoni e maschi cattivi. Questa reazione dimostra ignoranza e mancanza di sapere sulla violenza di genere: non la mette in scacco, la conferma. Il primo ministro svedese ha parlato giustamente di un “doppio tradimento” nei confronti delle donne.

E noi, diciamoci la verità
Ieri, a Ballarò, era presente una ragazza velata che negava risolutamente una peggiore condizione delle donne nei paesi di cultura islamica. Mi chiedo se il pensiero femminista non sia stato su questi temi troppo timido nel prendere una posizione.

Siamo femministe o siamo di sinistra: possiamo dirlo chiaramente (e continuare a dirci femministe e di sinistra) che una questione che potremmo chiamare “i migranti maschi e le donne” esiste, eccome se esiste, e che l’arrivo in Europa di tanti uomini che hanno codici tra i sessi “differenti” dai nostri è un problema, eccome se lo è? All’accoglienza non è concesso esistere senza integrazione e senza una specialissima considerazione di questo specifico problema. Tenerle separate, ma anche minimizzare i problemi sarebbe come intrappolare le donne, o intrappolarci, una seconda volta e costringerci a scegliere uno dei due fronti della guerra: devo rinunciare a un pezzetto della mia libertà per favorire la buona convivenza con i migranti? E se rispondo di no, sono razzista?

Perché il femminismo non mette anche in questo caso a frutto quella grande e storica abilità di praticare uno scacco, una schivata rispetto alla traiettoria dominante del pensiero e delle sue trappole? Lo “scacco ragionato” dovrebbe innanzitutto rifiutare quelle due domande, perché sono delle false domande. E dunque: è sufficiente, seppur necessario, contrapporre alle risposte razziste gli stupri dei college americani o la condizione delle donne italiane negli anni Cinquanta in Sicilia o i maschi ubriachi dell’Oktoberfest? Perché fatichiamo così tanto a criticare l’Islam o alcuni dei codici tra uomini e donne che l’Islam impone, o lo facciamo solo con quelli più brutali? Possiamo schierarci con forza a sostegno di quelle coraggiose femministe musulmane che vivono sotto fatwa per aver raccontato l’orrore? Quante volte ho sentito dire che quelle usanze fanno parte della tradizione e che ci sono donne che scelgono liberamente di velarsi? Ne ho incontrate anch’io, le ho sentite dirlo e argomentarlo. E ne sono sempre uscita pensando che era quel “liberamente” a non tornarmi e che avessero scelto di (soprav)vivere e basta. Forse mi sbaglio e so bene di non potermi sostituire a un’altra nella sua ricerca di libertà.

Ma un atteggiamento troppo a lungo “tollerante”, “rispettoso” e salottiero, anche questo, ha offerto una sponda ad almeno tre conseguenze poco feconde: rischia di essersi trasformato in indifferenza, è stato potentemente strumentalizzato e non ha saputo dare delle risposte efficaci.

Rovesciare Colonia
Quello che è capitato la notte di Capodanno a Colonia (che sia stato un atto organizzato o no, lo vedremo) ha mostrato una sola, chiarissima cosa: che sono le donne e i loro corpi ad essere il vero (e solito) campo di battaglia. La violenza sessuale è un dispositivo universale del patriarcato, che in guerra viene usato come arma. Lo hanno compreso molto bene i vari fondamentalismi: i movimenti estremisti che vanno dalla Nigeria all’Iraq, dalla Siria alla Somalia, dal Myanmar al Pakistan hanno un elemento in comune e cioè la violenza feroce contro le donne e il possesso dei loro corpi, e non come prodotti collaterali o incidenti di percorso.

Una simile comprensione non accade invece nelle risposte e nelle interpretazioni poco ragionate o strumentali che ci vengono fornite di fronte ai fatti di Colonia, alla cosiddetta “crisi dei migranti” o agli estremismi. Se si rovescia Colonia, si capisce che è solo così che può andare:
la migliore arma contro il terrorismo sono le donne, la loro promozione e il loro riconoscimento e sono le donne la chiave di una reale integrazione e convivenza.

Riapriamo con urgenza una discussione senza timore delle risposte che si potrebbero trovare alla fine. Non abbiamo paura di essere scorrette e non lasciamo, come scrive molto bene Marina Terragni, il monopolio delle critiche alla destra o alla destra xenofoba che non è certo campionessa di libertà femminili. E gli uomini, per primi, comincino a pensare alla “questione maschile” e si impegnino finalmente, con un loro “scacco ragionato”, a considerare la libertà femminile come misura dello stato di una civiltà e il protagonismo delle donne come soluzione di questo “loro” mondo, che però è tutto nuovo.

Giulia Siviero

Per ogni donna che lavora ci vorrebbe una moglie. Sono femminista e lavoro al Post. Su Twitter sono @glsiviero.