Basta strafare

Sembra che ormai la regola sia una sola: strafare. Salvo poi (nei casi migliori) pentirsi, tornare sui propri passi, provare a mettere una pezza. Ma intanto il danno è fatto. I rapporti si logorano, la tanto invocata coesione sociale si sfilaccia, la diffidenza prende piede. E con questo clima è difficile che si vada da qualche parte.

Due giorni fa, come noto, ci ha messo del suo anche la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, ormai agli sgoccioli di un mandato purtroppo deludente (dal primo presidente donna, per giunta nel quadriennio in cui è caduto anche il solenne centenario dell’associazione degli industriali, francamente ci si aspettava di più, per esempio, per dirne una, sul fronte della promozione della cultura d’impresa socialmente responsabile). A Firenze, a un convegno di Federmeccanica, ha tuonato: «Vorremmo avere un sindacato che non protegge assenteisti cronici e ladri, quelli che non fanno il loro mestiere». Premesso che le mele marce ci sono dappertutto, nel sindacato così come tra gli imprenditori (e chissà dove ce ne sono di più), è il tono, la gratuità della sottolineatura, il particolare frangente storico che stiamo attraversando in cui l’auspicio generalizzato è che prevalga il dialogo sulla sterile contrapposizione, che erano del tutto fuori luogo. Come era facile prevedere ne è scaturito un putiferio: i critici più “garbati” hanno parlato di caduta di stile, altri di offese gravi, fatto sta che la stessa Marcegaglia pare si sia presto resa conto di aver pronunciato una frase infelice e almeno qualche granello di cenere (pare, anche qui) se lo sia cosparso sul capo.

Anche la politica, quando c’è da strafare, non vuol essere da meno. Prendiamo Walter Veltroni che è ormai è evidente che mal sopporta il cono d’ombra in cui rischia di ritrovarsi, sia nel suo partito che sulla scena politica nazionale. Domenica rilascia un’intervista a Curzio Maltese per Repubblica e nel rispondere all’ennesima domanda sulla sua trentennale rivalità con Massimo D’Alema afferma: «Potrei risponderle che con D’Alema si discuteva di cose serie, se fondare un partito democratico o puntare su un modello della socialdemocrazia, se far vivere o morire il governo Prodi». Come come, abbiamo capito bene? Discutere se far vivere o morire il governo Prodi? Apriti cielo. Comprensibile che il professore da Bologna se la sia presa e abbia definito quel passaggio «letteralmente agghiacciante», aggiungendo quindi: «Veltroni sostiene che parlavano di cose serie? Beh, mi viene da dire: era meglio, molto meglio, se scherzavano». Ieri si è saputo che Veltroni ha chiamato Prodi e si sono chiariti. Già, ma intanto di portare sconquasso nel già frastornato PD e di tirare in ballo maldestramente il suo padre nobile non credo ci fosse proprio bisogno.

Voltiamo pagina e veniamo alla finanza. Da giorni testate italiane ed estere (come il Financial Times, due volte nell’ultimo mese) dedicano ampio spazio alla crisi della banca Monte dei Paschi e della fondazione MPS che presto non deterrà più la maggioranza assoluta del capitale della banca. Appena qualche anno fa MPS era un istituto che macinava utili su utili e il suo principale azionista, la fondazione bancaria Mps ne ricavava risorse in gran quantità che poi distribuiva sul territorio a scopi di pubblica utilità. Nel 2007 però Mps ha fatto un passo rivelatosi poi più lungo della gamba, decidendo di acquistare dallo spagnolo banco Santander, al prezzo di 9 miliardi di euro cash, banca Antonveneta.

Da lì sono cominciati i problemi. Invece che «estrarre valore», come auspicava il presidente Mussari, oggi a capo dell’Abi e in procinto di cedere la presidenza della banca ad Alessandro Profumo (o a chi per lui), sono emersi problemi via via crescenti: al punto che a giugno dello scorso anno è stato necessario ricorrere a un aumento di capitale di oltre 2 miliardi di euro che ha costretto la fondazione Mps a indebitarsi per non scendere sotto il 50% e ora si sta tentando il tutto per tutto per scongiurare di farne un altro, altrettanto oneroso, richiesto dall’Eba (European banking authority), l’autorità di vigilanza del mercato bancario europeo. A tal fine a Siena hanno chiamato un nuovo direttore generale, Fabrizio Viola, già direttore generale della BPM e poi amministratore delegato della Banca popolare dell’Emilia Romagna e Mussari, repetita iuvant, si è dichiarato sicuro che il nuovo dg saprà «estrarre valore».

Infine, un accenno alla mega multa di 7 milioni di euro comminata alla Rai e al giornalista Corrado Formigli da una sentenza del tribunale di Torino cui si era rivolto la Fiat per un servizio andato in onda durante la trasmissione Annozero, ritenuto dal Lingotto denigratorio. Su questo episodio non c’è molto da aggiungere se non rimandare all’editoriale da applauso, che vale da solo un’intera carriera giornalistica, fatto ieri sera da Enrico Mentana durante il suo telegiornale. E, per il resto, invocare un salutare, diffuso bagno di umiltà: basta strafare. Dappertutto.

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com