Se fossimo andati al mare

Se fermi cento persone per strada e chiedi loro del Porcellum – dal costituzionalista al becchino – ti dicono che hanno capito questo: che ci sono i nominati, e che loro i nominati non li vogliono più, che dunque va cambiata la cosa dei nominati, e i nominati non vanno bene se maschi, non vanno bene se femmine e non vanno bene neppure se sono 50 e 50, perché il clientelismo maschile e quello femminile hanno in comune il clientelismo.

Ti dicono questo da anni, e il risultato ora è l’Italicum.

I nominati sono lì, partecipano a cento talkshow, blaterano per ore, girano attorno alla faccenda dei nominati e ci prendono per stanchezza, i giornalisti si stufano e finiscono per inseguirli sulla cazzata del giorno: ma, esauriti i verbi al futuro, il tema resta quello, i nominati, i raccomandati, gli imbucati, gli amici, le amiche, tutta la gran massa dei non-rappresentanti che la gente guarda e ascolta in cagnesco.

Berlusconi questa cosa non l’ha capita, e in realtà neanche Renzi. Pensano che la gente sia sfibrata dalla crisi e che se ne dimenticherà. Tanti nemici delle preferenze sono solo dei nominati che non raccatterebbero tre voti, lo sappiamo tutti, ma anche gli argomenti triti e ritriti che sparacchiano in tv – cioè che le preferenze portano alle clientele e al voto di scambio – valgono poco.

Anzitutto, un mix di preferenze e indicazioni uninominali è già ampiamente usato nelle elezioni comunali e regionali ed europee: e funziona. Quando si paventa il rischio di clientele, in secondo luogo, forse non è chiaro che le segreterie dei partiti sono considerate proprio questo: delle clientele, degli avventori al servizio di un venditore unico che si chiami Berlusconi o Renzi o altri ancora. Senza contare che, diversamente dai capibastone della Prima Repubblica, certi nominati le preferenze non sarebbero nemmeno capaci di andarsele a prendere: non saprebbero proprio come si fa. Poi ci sarebbe un terzo argomento, questo: i voti di scambio e le clientele sono una minoranza estrema, ed è assurdo che una maggioranza di italiani non possa esprimere una preferenza per via di un’estrema minoranza. Questa non è una nazione interamente di clientele, e tantomeno lo è il Sud. In qualsiasi caso l’erba cattiva si cerca di estirparla, mica si sospende tutto il raccolto.

Dopodiché c’è il diessino Marco Meloni – un lettiano sardo, brava persona – che è arrivato a proporre un referendum per reintrodurre le preferenze e abbattere l’aristocrazia dei nominati, ciò che l’Italicum ha mantenuto. Meloni ha detto una serie di cose sacrosante e risapute: che le liste bloccate erano proprio quello che la gente non voleva, che la Consulta aveva restituito il diritto di scegliere i propri rappresentanti, che questo diritto ora è stato sottratto di nuovo, che lui e altri, appunto, potrebbero proporre un referendum su questo. Glielo appoggerei in pieno, dipendesse da me. Prima però, visto che gli errori degli ultimi trent’anni vengono rievocati e analizzati di continuo, chiederei a Meloni e all’intero Pd perché rimuovono un dettaglio di portata storica: cioè che Bettino Craxi, quando nel 1991 invitò gli italiani ad «andare al mare», forse aveva ragione. Craxi, quando invitò a non votare al referendum che chiedeva l’abolizione della preferenza plurima – quindi a salvare le preferenze – aveva visto giusto: come in cento altre cose che il «riformismo» piddino ha fatto proprie con vent’anni di ritardo. Craxi voleva salvare quelle preferenze che ora sono ridiventate un baluardo della democrazia – secondo lui, secondo la maggioranza del Pd, secondo Fratelli d’Italia, secondo i grillini, soprattutto secondo la stragrande maggioranza degli italiani – e siccome quello storico invito craxiano ad «andare al mare» è ritenuto un caposaldo del crollo della Prima Repubblica, beh, la morale rischia di essere devastante: cioè che non solo Craxi aveva ragione, ma che avevano torto tutti gli altri e segnatamente i milioni di italiani che accorsero in massa ai referendum. Fu così che, tra il 1991 e il 1993, furono mandate in pensione le preferenze e il voto proporzionale di lista: alle urne si recò il 65 per cento degli elettori e il referendum passò con il 95,6 per cento di sì. Fanno 27 milioni di italiani. Quel voto celava null’altro che una forte insofferenza contro i partiti, ora possiamo dirlo? Il Pd, che inseguiva questa insofferenza, prese una cantonata bestiale nell’appoggiare il referendum, ora possiamo dirlo? Meglio ancora: un Pd cieco e demagogico trasformò quel referendum in un referendum su Craxi, possiamo dirlo? Lo stiamo dicendo.

Ci si potrebbe divertire indugiando anche sui Cinque Stelle, che sulle preferenze hanno sposato le tesi craxiane e probabilmente neppure lo sanno: ma capirai che soddisfazione. Dal Pd di Marco Meloni però una spiegazione non guasterebbe. Lo spauracchio impronunciabile resta questo: Craxi, che a suo tempo aveva già avuto ragione su molte cose – sugli Euromissili e sulla scala mobile, per dire – invitò gli italiani ad andare al mare ed ecco che il Pds si scatenò: «Espressione di populismo che fa leva sulla disaffezione popolare», discorsi sul clientelismo e sul voto di scambio, insomma gli stessi argomenti che ora imbraccia Forza Italia. Piero Fassino e Walter Veltroni parlarono delle preferenze come di «un fattore di competizione perversa e malsana tra candidati della stessa formazione, di lacerazione e indebolimento nel confronto con gli autentici avversari». Altri, come Fabio Mussi e Pietro Folena, paventarono «l’incremento delle spese elettorali, il proliferare delle pratiche clientelari, del malaffare e della corruzione, del voto di scambio e degli inquinamenti malavitosi», una «garanzia del predominio delle organizzazioni criminali». La rassegna stampa ovviamente potrebbe proseguire, ma non è questo il punto. Il punto è che stiamo parlando delle preferenze che Marco Meloni e altri vorrebbero reintrodurre per referendum, appunto, con Francesco Boccia che si è detto sicuro, per esempio, che «la base appoggerebbe la scelta con convinzione». Però la stessa base, negli anni Novanta, appoggiò con convinzione giusto il contrario. Vorrei capire dov’è l’errore, se forse non sarebbe stato meglio andarci davvero, al mare.

(Da Libero)

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera