L’economista grillina, l’Islanda e tanti miliardi

Non è vero che l’Italia verserà 125 miliardi al Fondo salva stati, non è vero che in Islanda i cittadini non hanno pagato i debiti delle banche e ci sono diversi dubbi sul fatto che l’economista M5S ospite in trasmissione sia davvero un economista. Questi sono alcuni degli errori e delle imprecisioni fatti ieri nel corso della puntata di Ballarò.

Non è vero, come ha detto Luigi Zanda, che l’Italia è l’unico paese occidentale a trovarsi con due camere con una maggioranza diversa. In questo istante, negli Stati Uniti, il Senato è a maggioranza democratica, mentre la Camera dei rappresentanti è a maggioranza repubblicana. È successo anche in Francia e in Germania. A causa di sistemi politici diversi, però, queste situazioni negli altri paesi hanno raramente, per non dire mai, causato la situazione di ingovernabilità che c’è attualmente in Italia.

In un servizio della redazione si è tornato a parlare dell’Islanda, riportando una descrizione della sua uscita dalla crisi molto diffusa. Secondo il servizio, l’Islanda non ha pagato i debiti delle banche ed è uscita dalla crisi in modo “poco ortodosso” grazie a soluzioni – questo più o meno era il significato del pezzo – di tipo “grillino”. Non è vero: dopo la crisi di Lehman Brothers le tre principali banche private del paese fallirono e furono nazionalizzate. Il loro debito divenne parte del debito pubblico del paese che in breve tempo aumentò dell’80%.

Non solo: l’Islanda chiese aiuto al Fondo monetario internazionale, ricevette denaro in prestito, accettò le condizioni dell’aiuto e le soddisfò così in fretta e così bene da poter restituire il denaro in anticipo, diventando una specie di allievo modello del FMI. La leggenda del debito delle banche non ripagato deriva da un episodio tutt’altro che limpido. Con diversi referendum i cittadini islandesi si sono rifiutati di restituire ai risparmiatori olandesi e inglesi il denaro che questi avevano depositato in un fondo pensione dell’isola. Il rifiuto avvenne anche se olandesi e inglesi non richiesero tutta la cifra depositata, ma solo la quantità che era garantita e assicurata dal governo islandese.

Lidia Undiemi, presentata come economista – poi vedremo perché non è esattamente così – vicina al M5S, ha sostenuto che a causa di alcuni trattati europei sottoscritti prima dal governo Berlusconi e poi confermati dal governo Monti, l’Italia dovrà «sopportare un rientro dal debito pari a 45 miliardi l’anno per i prossimi vent’anni». Le cose non stanno esattamente così. Si tratta di una questione molto complessa: se vi interessa conoscerne i dettagli vi rimandiamo a questo articolo di Mario Seminerio – chiaro e alla portata di tutti.

In breve, la questione è questa: Undiemi si riferiva al famoso fiscal compact, una serie di accordi europei per la riduzione del debito pubblico di cui si è parlato moltissimo e si è capito molto poco. La regola che stabilisce la riduzione del debito che il governo deve effettuare è molto più complessa di come l’ha spiegata Undiemi (45 miliardi in meno l’anno per vent’anni): quello che bisogna ridurre è il rapporto tra il debito e il PIL nominale. La crescita nominale del PIL si verifica anche senza una significativa crescita reale, grazie all’inflazione. Quindi, per ipotesi, se il PIL nominale crescesse del 2,5% – che non è molto – non ci sarebbe bisogno di ridurre il debito nemmeno di un euro.

Passiamo ora un pastone di Massimo Gianni e dei cartelli della redazione che hanno lasciato passare l’idea che il “metodo Cipro”, cioè far partecipare gli stati ai salvataggi (il cosiddetto bail-in) prelevando dai depositi dei risparmiatori, sia oramai considerato un metodo praticabile anche in altri paesi europei. Questa convinzione deriva dalle parole del nuovo presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, che lunedì aveva proprio detto che quello di Cipro potrebbe diventare un modello per altri salvataggi.

Quello che non è stato detto in trasmissione è che Dijsselbloem è stato quasi immediatamente, e seccamente, smentito e che per le sue parole è rapidamente diventato lo zimbello di commentatori e giornalisti. Sempre a proposito di Dijsselbloem: sono state le sue parole e non le voci di un possibile downgrade di Moody’s (come è stato detto qui in Italia) a far precipitare le borse lunedì.

Torniamo a Undiemi, “l’economista” del M5S che ha offerto una ricostruzione del Fondo salva stati (ESM) incredibilmente scorretta. Secondo Undiemi l’Italia dovrà versare in questo fondo ben 125 miliardi. In cambio, ha detto, l’Italia sarà aiutata e, quando questo avverrà, la dirigenza del Fondo imporrà al governo italiano la politica economica da seguire. Incredibilmente nessuno degli ospiti né la redazione hanno smentito le sue affermazioni. Il vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini, si è limitato a dire che si trattava di una ricostruzione scorretta senza spiegare il perché.

Innanzitutto le cifre fornite da Undiemi sono completamente sbagliate: l’Italia verserà nell’ESM 17 miliardi e si limiterà a garantirne altri 125.  Il resto della sua ricostruzione è altrettanto criticabile: non è in programma alcun salvataggio dell’Italia da parte dell’ESM, come sembra suggerire Undiemi, anche perché l’ESM non ha il denaro sufficiente a salvare un paese grande come il nostro. L’ESM non è un’organizzazione quasi privata, con un oscuro management che decide per conto suo. Le decisioni al suo interno vengono prese dai ministri delle finanze dei paesi dell’Eurozona che votano in base alla percentuale del capitale del fondo versato dai vari paesi (l’Italia ha un potere di voto più o meno pari a quello di Francia e Germania). Qui potete trovare una spiegazione di cos’è, in breve, il Fondo salva stati.

Infine, in più d’uno ieri sera su Twitter ha sollevato dubbi sulla qualifica di “economista” di Lidia Undiemi. Qui potete leggere la storia per intero. In sostanza: Undiemi non insegna in nessuna università e non è neppure una ricercatrice. Può essere definita “economista” tanto quanto ogni altro laureato in economia.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca