Ora Renzi si occupi del PD

Oggi l’Italia avrà un presidente del consiglio veramente incaricato, un’idea di governo (sperabilmente non gravato da nomi pesanti del ventennio), una maggioranza volente o nolente impegnata da subito nelle riforme essenziali dell’economia e delle istituzioni. Si è anche già capito chi sarà all’opposizione (con qualche incertezza legata alle idiosincrasie per questo o quel nome, con una assurda specifica e trasversale avversione verso Giuliano Amato), con la particolarità che Vendola ha ormai modellato il proprio atteggiamento su quello di M5S, a proposito di autonomia: non escludono di appoggiare singoli provvedimenti.

Potenza di Napolitano. L’incontrastabile forza contrattuale del capo dello stato rieletto per disperazione ha una influenza anche su chi non l’ha votato, perfino su chi col proprio atteggiamento a Montecitorio, lunedì, lo ha insolentito.
Naturalmente questo micidiale potere, con Berlusconi saldo di suo, si esercita soprattutto sul Pd.
L’attesa del dramma dalle parti dei democratici va sempre delusa, la direzione di ieri non è stata diversa da altre. Il commiato di Bersani è stato forte, ma già altri segretari prima di lui si sono dimessi lanciando accorati allarmi sulla mancanza di solidarietà interna e pronosticando: succederà anche a chi verrà dopo di me. Non diversamente da Veltroni, Bersani deve prendersela con se stesso: come Veltroni, ha avuto momenti di controllo del partito che ha sfruttato male. E se gli elettori non hanno capito certe scelte, è perché spesso non gli è stata detta la verità.

Par di capire che, a meno di squadre di governo clamorosamente indigeribili, il dissenso nel vertice Pd si ridurrà a poche unità. Altra questione è la tenuta del corpo dei militanti.
Che il nome di Matteo Renzi per palazzo Chigi sia sfumato per la paura di Berlusconi di veder crescere di status il più micidiale avversario, o perché Napolitano rimanga affezionato a nomi meno barricaderi, rimane la questione di come sancirne la leadership sul Pd.
Sentendosi stretto nell’abito di segretario, Renzi era pronto per il governo e per un rapporto diretto, non mediato dal partito, con l’opinione pubblica.
Con le elezioni che s’allontanano, il focus renziano torna a spostarsi sul Pd: problema suo e di tutti. Potrebbe (anzi, dovrebbe) maturare il senso dell’emergenza per un’investitura svincolata dai riti congressuali. Tipo dopo-Veltroni, appunto.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.