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Un problema di qualità umane, di capacità di leadership, di straordinarietà che favoriscano un ricambio, in giro c’è in molti contesti diversi. Ma è particolarmente drammatico nella politica italiana. Un tempo, se eri giovane e volevi cambiare il mondo, o facevi politica o facevi il giornalista. Oggi i due mestieri sono vecchi e fermi, ma almeno il secondo si sta ricreando, con fatica, in luoghi esterni a quelli in cui si è impaludato. Quella della politica è impaludato e basta. E contemporaneamente, se sei giovane e vuoi cambiare il mondo, oggi hai un sacco di altre opportunità. Mi cito, da Un grande paese:

Nella politica italiana, solo un ricambio energico e fruttuoso può cambiare le cose, ed è difficilissimo da ottenere. Quando sembra possibile se non altro per ragioni di mortalità della razza umana, si rivela in realtà un ricambio illusorio: più giovani mediocrità sostituiscono le vecchie, definite dai processi psicologici e culturali che abbiamo analizzato fino a ora. La politica non è una strada per menti brillanti e ambiziose, creative o generose. Le fatiche, delusioni e frustrazioni che infligge sono imparagonabili alle soddisfazioni che per altre vie questi tempi offrono a qualunque giovane intenda fare cose belle e proficue per sé e per il mondo. Se sei intelligente e hai voglia di spenderti, oggi fai altro – mille cose possibili – ma non la politica. E si tratta di un altro che può davvero migliorare la vita delle persone e la propria, nei campi più diversi. Ma resta il problema: la politica di professione chi la fa? È diventata come il servizio militare qualche tempo fa, che era costretto a farlo solo chi non aveva i mezzi di fare altro. E come tutto quello che funziona male in Italia, è un cane che si morde la coda: la politica non torna a essere attraente e stimolante se non ritrova il suo potenziale di efficacia e la sua vocazione a costruire buone cose. Ma non li ritrova se a praticarla non ci sono persone attive e volenterose in questa ricerca. Questo circolo vizioso si sblocca solo introducendovi degli elementi di straordinarietà – che in giro ci sono – ovvero alcuni giovani (col metro dell’oggi) capaci e appassionati che comincino a scardinarlo non pensando solo di mettere una pezza sul domani e sul dopodomani, ma anche di poter abitare un grande paese, tra vent’anni.

La storia di Marilena Parenti, è proprio questa storia qui, mi pare: di una persona a cui il mondo offre occasioni più stimolanti per fare altro che non la politica, e per questo rifiuta un posto straordinario per cui altre generazioni e altre razze umane ammazzerebbero. È questa la vera fuga dei cervelli.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).