• Italia
  • Domenica 28 dicembre 2025

Gli affitti brevi nelle grandi città, in otto mappe

Quanti sono, dove sono e quanto costano a Roma, Milano, Firenze, Napoli, Venezia, Bologna, Bari e Palermo

Turisti a Firenze
Turisti a Firenze (Alessandro Levati/Getty Images)
Caricamento player

Nel 2024 il governo ha imposto ai proprietari di case proposte sul mercato degli affitti brevi di esibire accanto ai campanelli il CIN, il “codice identificativo nazionale” pensato per contrastare l’abusivismo. A un anno dall’entrata in vigore dell’obbligo, il ministero del Turismo ha rilasciato poco più di 620mila CIN. Significa che la maggior parte degli alloggi è in regola, ma significa anche che oltre 80mila non lo sono ancora.

L’obiettivo del codice è avere più informazioni su un mercato cresciuto in modo impetuoso negli ultimi 10 anni, senza molte regole. Fino a pochi anni fa ai proprietari delle case messe in affitto su Airbnb o su altre piattaforme online bastava semplicemente aprire un account, accogliere i turisti e incassare i soldi. Per anni è stato facile non rispettare la legge e non pagare le tasse perché Airbnb non comunicava allo Stato i dati e i guadagni dei proprietari.

Solo in seguito a un accordo trovato nel dicembre del 2023, Airbnb si è impegnata a versare le tasse diventando “sostituto di imposta”: vuol dire che Airbnb trattiene dagli incassi quanto dovuto al fisco e lo paga per conto dei clienti che hanno messo a disposizione l’alloggio tramite la piattaforma, i quali infine ricevono la somma al netto dell’imposta.

I dati delle case messe in affitto sono quindi molto importanti perché consentono allo Stato di capire quanti alloggi sono offerti sul mercato degli affitti turistici e di controllare che le tasse vengano regolarmente pagate, comprese quelle dovute ai comuni come la tassa di soggiorno. Questi dati non sono pubblici perché fanno parte del patrimonio informativo di Airbnb, ma negli anni sono stati avviati progetti per controllare la crescita degli affitti brevi; per capire, insomma, quanti sono davvero, dove sono, quante stanze hanno, quanto costano e chi li gestisce.

Il più noto di questi progetti si chiama Inside Airbnb, che raccoglie molti dati nelle principali città del mondo e anche in molte città italiane. Grazie ai dati pubblicati da Inside Airbnb il Post ha realizzato queste mappe che mostrano nel dettaglio quanti siano gli affitti brevi disponibili su Airbnb a Roma, Milano, Firenze, Napoli, Venezia, Bologna, Bari e Palermo. Passando il cursore o il dito su ogni punto si leggono informazioni come il nome dell’alloggio e il prezzo per notte.

Negli ultimi anni la diffusione degli affitti brevi ha spinto diverse amministrazioni comunali a introdurre regole più severe. La necessità di limitare o comunque controllare questo mercato nasce dal fatto che in varie città, specialmente in quelle dove arrivano già molti turisti, è diventato difficile trovare una casa affittata a lungo termine perché sempre più spesso i proprietari preferiscono affittarle ai turisti. La densità dei puntini sulle mappe è un segnale evidente di questo problema. Accade perché gli affitti brevi sono nella maggior parte dei casi più redditizi e secondo i proprietari escludono problemi legati a possibili mancati pagamenti e sfratti.

Questo causa alcuni effetti negativi per la popolazione che abita e vive nelle città: tra questi, quello più evidente è l’aumento del costo degli affitti di lungo periodo, dovuto al fatto che il numero di immobili dedicati a questo scopo è minore.

Secondo le associazioni che rappresentano i proprietari il problema è sopravvalutato perché gli affitti brevi riguardano solo il 2 per cento del patrimonio immobiliare italiano. Il 2 per cento è una media di tutte le regioni italiane, comprese le città meno turistiche e i piccoli comuni. Finora molti dei tentativi di regolamentare gli affitti brevi fatti dai comuni o dalle regioni sono stati bocciati in seguito a ricorsi, anche perché i comuni hanno pochi poteri.

Lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nel presentare la legge di Bilancio ha detto che sarebbe stato necessario un aumento delle tasse al 26%, contro l’attuale 21%, perché con la diffusione degli affitti brevi è più difficile trovare case in affitto nelle città.

L’idea però è durata poco soprattutto per via delle pressioni di Forza Italia: all’inizio di novembre, dopo due settimane di discussioni interne alla maggioranza, nelle nuove bozze della legge di Bilancio ora all’esame della Camera l’aumento è stato molto ridimensionato, quasi annullato. Il testo definitivo della legge di Bilancio prevede sempre la cedolare secca del 21 per cento sui profitti ottenuti dal primo immobile, mentre si dovrà pagare il 26 per cento solo dal secondo immobile, e dal terzo è obbligatorio aprire la partita IVA.

Il ministero dell’Economia aveva stimato un maggiore incasso di 102 milioni di euro l’anno, una somma comunque contenuta considerando che solo nei primi 8 mesi del 2025 gli affitti brevi hanno generato prenotazioni per un valore di 8,2 miliardi di euro. Con l’attuale versione lo Stato incasserà soltanto 13 milioni di euro in più.