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  • Martedì 23 dicembre 2025

Il governo ha già riformato la riforma del test di medicina

La ministra Bernini ha dovuto mettere una pezza in corsa ad alcuni pasticci sulle graduatorie, e ha annunciato altri cambiamenti

Studenti si preparano a partecipare ai test di ammissione alla facoltà di medicina a Napoli, il 5 settembre 2017 (ANSA/Cesare Abbate)
Studenti si preparano a partecipare ai test di ammissione alla facoltà di medicina a Napoli, il 5 settembre 2017 (ANSA/Cesare Abbate)
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Il ministero dell’Università e della Ricerca ha già modificato la riforma dei test di accesso a medicina, odontoiatria e veterinaria che aveva introdotto solo pochi mesi fa, a giugno, definendola un cambiamento storico. Martedì, infatti, è stato pubblicato un decreto ministeriale che modifica i criteri di accesso alle graduatorie, dopo che nei primi test molti studenti avevano ricevuto voti più bassi del previsto, tanto che il numero degli idonei sarebbe stato inferiore ai posti disponibili. Nelle scorse settimane gli studenti avevano criticato molto la riforma, sostenendo di non essere stati preparati adeguatamente agli esami. La ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, ha detto che cambieranno anche altre cose.

Con la riforma sono stati eliminati i tradizionali test basati su quiz a crocette, che si svolgevano ogni anno prima dell’iscrizione all’università, tra la primavera e l’estate. A partire da quest’anno accademico, tutti gli studenti che volevano fare medicina, odontoiatria e veterinaria si sono iscritti direttamente a quello che è stato definito il “semestre filtro” (comune per tutti e tre gli indirizzi), durante il quale hanno frequentato le lezioni dei primi tre esami, da 6 crediti ciascuno: chimica, biologia e fisica.

Alla fine del semestre hanno svolto una prova scritta per ogni materia che, oltre a valere come un esame tradizionale, aveva la funzione di test di ingresso per accedere al secondo semestre. La riforma stabiliva che sarebbe potuto entrare nella graduatoria solo chi avesse ottenuto almeno la sufficienza (cioè un voto di 18 su 30) in tutte e tre le prove d’esame.

Se, pur avendo ottenuto le tre sufficienze, lo studente non fosse entrato nella graduatoria di medicina, odontoiatria e veterinaria (per eccesso di candidati rispetto ai posti disponibili), avrebbe potuto essere inserito nella graduatoria per entrare nel secondo semestre di un altro corso definito “affine”, indicato durante l’iscrizione. Sono corsi attinenti alle professioni mediche, come biotecnologia, biologia, farmacia o infermieristica. In pratica, per il primo semestre gli studenti sono stati iscritti contemporaneamente a due corsi: uno tra medicina, veterinaria e odontoiatria e un altro scelto tra i corsi affini. Se dopo i test non sono riusciti a entrare nei primi, possono accedere ai secondi.

La ministra dell’Università Anna Maria Bernini parla durante un’informativa alla camera sull’accesso ai corsi di laurea in medicina, il 17 dicembre 2025 (ANSA/Massimo Percossi)

Con il decreto ministeriale pubblicato martedì, in pratica, non serviranno più tre sufficienze per entrare nelle graduatorie né di medicina, odontoiatria e veterinaria, né in quelle dei corsi affini. È a questo meccanismo che fa riferimento Bernini, quando ora dice che nessuno studente perderà l’anno. In effetti una delle critiche fatte dagli studenti era che la riforma, nella sua formulazione originaria, obbligava a frequentare per mesi le lezioni senza la certezza di essere ammessi da nessuna parte e con il rischio di perdere l’anno. Cosa che secondo le associazioni studentesche creava forte stress e un senso di competizione problematico.

Gli esami di ingresso si sono svolti in due sessioni, una il 2o novembre e una il 10 dicembre. In totale per i tre corsi si sono iscritti poco più di 63mila candidati, di cui circa 52.800 solo per medicina. I posti disponibili per medicina, nelle università statali e non, sono 24.026, di cui 2.452 in inglese. Ciascuno studente ha potuto già vedere i propri risultati, ma non sono stati pubblicati dati complessivi ufficiali. Dai primi dati che alcuni atenei hanno fatto trapelare, sembra che solo una percentuale molto limitata di studenti (dopo il primo appello si diceva tra il 10 e il 15 per cento) abbia ottenuto la sufficienza in tutte le tre prove, cioè il requisito necessario per accedere alla graduatoria.

Con le regole stabilite in origine dalla riforma, i candidati idonei sarebbero stati così pochi da non raggiungere nemmeno il numero dei posti disponibili. Per evitarlo Bernini ha deciso, all’ultimo momento, di correggere i criteri per stilare la graduatoria, rendendoli molto meno severi.

Con il nuovo decreto entrerà non solo chi ha preso tre sufficienze, ma anche chi ne ha prese solo due o una sola. Le precedenze tra i candidati non dipenderanno solo da quanti esami hanno passato e dai voti, ma anche da quanti voti hanno rifiutato al primo appello per ripetere l’esame al secondo. Un’altra novità è che si potrà tenere valido un voto sufficiente del primo appello, se chi ha ripetuto l’esame avrà preso un’insufficienza nel secondo. La ministra Bernini ha detto che con questi nuovi criteri ci sarebbero più di 25mila studenti idonei, cioè che hanno superato almeno un esame. I dati, però, sono ancora abbastanza incerti: l’agenzia Ansa, per esempio, dice invece che sarebbero 22.500 (non è chiaro che fonti diverse vengano considerate e perché i numeri siano diversi).

Gli studenti ammessi senza tre sufficienze dovranno frequentare corsi di recupero nelle materie in cui non hanno superato l’esame né al primo né al secondo appello. Prima di iscriversi al secondo semestre (quindi entro la fine di febbraio) dovranno superare prove di recupero in ciascuna materia insufficiente, che si svolgeranno in tempi e modalità decise in autonomia da ciascun ateneo.

Anche se nel nuovo decreto si dice esplicitamente che si è tenuto conto della «necessità di assicurare la copertura di tutti i posti disponibili», Bernini ha detto in un’intervista a Repubblica che questa riforma non va considerata come una sanatoria e che ai test di recupero le sufficienze non saranno una formalità. Ha anche detto di avere intenzione di correggere altre cose della riforma, a partire dalla durata e dall’organizzazione delle lezioni.

Gli studenti, infatti, hanno lamentato il fatto che il “semestre filtro” non sia in realtà un semestre, perché le lezioni e gli esami si sono svolti in poco più di tre mesi (dal primo settembre al 10 dicembre), senza che, dicono gli studenti, prima degli appelli ci fosse tempo a sufficienza per studiare.

In un intervento a L’aria che tira, su La7, Bernini ha detto che invece i mesi sono sei, perché dopo la pubblicazione della graduatoria, prevista per gennaio, si svolgeranno i corsi e i test di recupero fino al 28 febbraio (che però non erano previsti nella prima versione della riforma). Negli ultimi giorni, invece, la stessa Bernini ha detto di voler lavorare con le università per allungare il periodo delle lezioni e spostare entrambi gli appelli d’esame a dicembre.

La ministra ha infine detto di essere disponibile a lavorare sulla tipologia di domande fatte nei test, visto che molti studenti le hanno trovate difficili, soprattutto per l’esame di fisica, che in entrambi gli appelli è stato quello superato da meno persone. La proposta di Bernini è rendere le domande più attinenti al materiale di studio (che era uguale per tutti gli atenei, fornito dallo stesso ministero), e cambiare la commissione che le ha formulate, che quest’anno era composta solo da ex professori in pensione. «Forse» ha detto Bernini «è necessaria una maggiore rappresentanza del mondo accademico», e per questo pensa di coinvolgere docenti di ruolo e professori del liceo.