La più letale e avanzata azienda di armi dell’Ucraina
Abbiamo incontrato in una località segreta la fondatrice di Fire Point, che produce droni e missili a lungo raggio da usare contro la Russia
di Daniele Raineri

Fire Point è un’azienda tecnologica ucraina e fa parte di un gruppo di imprese nate da zero negli ultimi tre anni per progettare e produrre armi a lungo raggio da usare contro la Russia. Tra queste aziende Fire Point è considerata quella più di successo. Le armi progettate da Fire Point sono indicate dalla sigla FP seguita da un numero crescente, sono arrivate a FP-9. La maggioranza dei bombardamenti ucraini che colpiscono a centinaia di chilometri di profondità dentro il territorio russo è fatta con droni FP-1.
Ad agosto l’azienda ucraina ha presentato l’FP-5 Fenicottero, un missile da crociera che può volare fino a Mosca e porta una testata esplosiva da più di una tonnellata. Ha attirato l’attenzione dei media perché è un grosso salto di quantità rispetto ai 60 chilogrammi circa di esplosivo portati dai droni. Ne parliamo più avanti, ma una cosa era chiara: se hanno presentato una nuova arma nel mezzo di un conflitto, invece che tenerla segreta, è stato per lanciare un avvertimento.

Il processo di asciugatura delle ali dei droni a lungo raggio ucraini in uno stabilimento di Fire Point (Alex Babenko per il Post)
A febbraio, durante un incontro disastroso alla Casa Bianca, il presidente statunitense Donald Trump aveva detto a quello ucraino Volodymyr Zelensky: «You don’t have the cards», cioè “non hai le carte”. Intendeva: non hai le risorse per fermare la guerra d’invasione cominciata dalla Russia.
È una delle convinzioni di Trump sulla guerra in Ucraina. Dice che gli ucraini non possono fermare la Russia e che non hanno argomenti per negoziare in modo efficace con il presidente russo Vladimir Putin. Quindi, sempre secondo Trump, gli ucraini vanno forzati ad accettare un accordo di compromesso che sospenda la guerra, anche se le clausole dell’accordo saranno favorevoli alla Russia.
Iryna Terekh, 33 anni, studi di architettura, fondatrice e capo del reparto tecnico di Fire Point – contribuisce allo sviluppo di droni e missili – pensa invece che l’Ucraina queste carte le abbia. Minuta, sorridente, parla piano. L’intervista con lei è in una località segreta, nella sala riunioni di un posto che sembra la risposta alla domanda «come ti immagini una startup?». Ci sono macchine per il caffè, vasetti di caramelle, poltrone e un prototipo colorato di drone appeso con dei cavi al soffitto.

Iryna Terekh, 33 anni, fondatrice e progettista di Fire Point, durante l’intervista (Alex Babenko per il Post)
Sul sito di Fire Point è indicato l’indirizzo di un edificio nel centro di Kiev e i russi lo hanno già bombardato con un missile balistico, ma era vuoto. Sul tavolo davanti a Terekh c’è una biografia in ucraino di James Mattis, un generale dei Marines statunitensi che è stato anche segretario alla Difesa durante il primo mandato di Trump. Poi si dimise perché non andava d’accordo con il presidente. Su uno schermo a parete nella sala ci sono immagini che arrivano in diretta dagli stabilimenti di produzione.
«Fire Point è una delle carte, insieme ad altre aziende ucraine che stanno facendo cose straordinarie e stanno cambiando completamente la traiettoria del futuro, la logica di come dovrebbe essere applicata la forza e la logica di lavorare con quantità estremamente ridotte di risorse, usandole con la massima efficacia. Quindi sì, noi e altri ucraini siamo quelle carte», dice Terekh.
Questo espediente retorico del “siamo noi le carte” fa capolino qui e là nell’ufficio. Sui sacchetti di carta c’è scritto in latino “quis nisi nos?”, cioè “chi se non noi?”; il salvaschermo sul telefono di lei è una carta da gioco, un asso di picche, con un fenicottero e un missile. Di solito quando si parla di armi si parla soprattutto delle prestazioni, come il carico esplosivo e quanto riescono a volare. Fire Point sottolinea altre caratteristiche, a partire dal basso costo, che è fondamentale perché l’Ucraina ha un budget di guerra ridotto. I droni FP-1 ora costano circa 42mila euro a unità, un terzo del costo dei droni Shahed russi.

L’asso di picche con il fenicottero e un missile, riferimento a una frase detta da Trump a Zelensky: «Non hai le carte»(Alex Babenko per il Post)
Un’altra caratteristica è che la stragrande maggioranza dei componenti delle armi di Fire Point è prodotta in Ucraina e non ci sono componenti importati da Stati Uniti e Cina. L’idea è dipendere sempre meno dalle decisioni dei presidenti statunitensi, come invece è successo negli ultimi quattro anni, oppure dalla Cina alleata della Russia.
Terekh racconta che il governo ucraino ha semplificato all’estremo le regole per le piccole aziende che vogliono contribuire alla resistenza contro l’invasione. Il risultato è stato la nascita di quello che lei chiama un ecosistema di startup, rapido a rispondere alle necessità dei soldati e molto adattabile.
«Il governo ucraino ha ridotto drasticamente il carico burocratico. In pratica ha detto: “Ok, ragazzi, capiamo che è una grande guerra. Non possiamo dire ‘fate quello che volete’, ma lasciamo il minimo indispensabile come requisito. Fate droni». Terekh dice che questa decisione è stata un game changer, una cosa che cambia tutte le altre. «Sentirai più volte la parola ecosistema», avverte.
In teoria gli ucraini potrebbero chiedere agli alleati europei di spostare in Europa i loro stabilimenti di produzione, dove sarebbero al riparo dai bombardamenti russi. La direttrice di Fire Point risponde: «Sai cos’è peggio delle bombe e dei missili russi? La burocrazia europea. Se costruisci un drone nell’Unione europea il processo di certificazione può durare da un anno e mezzo a cinque o sei anni. Negli Stati Uniti anche di più. In Ucraina poche settimane. Io preferisco lavorare qui. È una scelta consapevole. Piuttosto che andare in un paese europeo e lavorare tra le carte. Hai mai provato? Le carte uccidono la vita, la creatività, il processo di design molto più dei missili».
C’è un’eccezione in Danimarca, perché i danesi hanno offerto a Fire Point una zona dove possono lavorare come se fossero in Ucraina. «La Danimarca ha creato una legislazione speciale, una sorta di “porto virtuale” per le aziende della difesa ucraine. Senza questo, non saremmo mai andati lì», aggiunge.
In Europa c’è interesse per quello che stanno facendo Fire Point e le altre aziende ucraine. «Il mondo vuole la tecnologia ucraina e il motivo è chiaro. Ma dobbiamo capire come le forze armate ucraine possano beneficiarne. Non funziona che l’Europa non faccia nulla e poi ottenga la tecnologia più avanzata a due centesimi. Vogliamo una strategia vinci-tu e vinco-io che rafforzi l’Ucraina senza soffocarla», dice la fondatrice di Fire Point.

Droni a lungo raggio ucraini chiusi nei loro contenitori e pronti per essere inviati alle unità militari che li faranno decollare verso la Russia (Alex Babenko per il Post)
Louis Mosley, capo della divisione del Regno Unito di Palantir, l’azienda tech di analisi dei dati statunitense cofondata da Peter Thiel e legata all’amministrazione Trump, ha detto che l’Ucraina è «purtroppo il laboratorio di ricerca e sviluppo» per tutto quello che è l’avanguardia assoluta in campo militare. «Non si sa se le cose funzionano davvero finché non le si testa sul campo di battaglia».
Terekh commenta queste parole così: «È una definizione molto cinica. E noi diciamo che il nostro poligono di tiro non è l’Ucraina, ma la Russia, perché non abbiamo abbastanza territorio per testare sistemi a lungo raggio. Preferisco un’altra definizione: Yevgeny Karas [un comandante militare ucraino che interviene spesso sui media, con un passato controverso nell’estrema destra] ha detto che l’Ucraina è un portale verso il futuro. Un futuro non luminoso, ma altamente tecnologico e innovativo. Se eviti di prepararti, stai solo rimandando l’incontro con quel futuro».
A metà agosto Fire Point ha presentato i missili da crociera FP-5 Fenicottero. Ogni notte gli ucraini inviano droni a lungo raggio contro bersagli in territorio russo come raffinerie di greggio e industrie belliche, ma portano circa 60 chilogrammi di esplosivo, che sono pericolosi ma non sono in grado di fare danni definitivi. I Fenicotteri hanno una testata da più di una tonnellata di esplosivo. Terekh spiega che le parti più costose di quei missili sono il sistema di guida e quello di propulsione. L’esplosivo è la componente meno costosa. A quel punto, dice, tanto valeva mettere nei Fenicotteri più esplosivo possibile per rendere conveniente la spesa fatta per il resto.

Le carlinghe dei droni a lungo raggio ucraini, dove andranno il carburante e l’esplosivo (Alex Babenko per il Post)
Da crociera vuol dire questo: il missile vola a bassa quota e cambia spesso direzione per non farsi abbattere. L’altro tipo di missili sono quelli balistici, che sono come un pallone calciato in aria, nel loro caso fuori dall’atmosfera terrestre, che poi ricade verso terra. In questa discesa verticale i missili balistici sono molto difficili da intercettare. Fire Point ci sta lavorando, in modo da fare attacchi simili a quelli che la Russia compie contro l’Ucraina. «Ci sto lavorando. I missili balistici sono fondamentali. Intercettarli è molto più difficile. Stiamo lavorando a una produzione scalabile e a basso costo».
Torniamo ai Fenicotteri. La fondatrice di Fire Point ha collaborato alla costruzione di alcune parti del missile. Dice che la produzione è arrivata a 200 al mese, che la percentuale di bersagli colpiti in Russia è alta e che i militari sono soddisfatti (ma non può dire quanto alta, è un dato coperto da segreto per ora). Durante i test avevano dipinto il missile, che è imponente, con vernice rosa per trovare più facilmente i pezzi sparsi nei campi. Il nome è diventato Fenicottero. «C’è anche un po’ di ironia. Nell’industria della difesa c’è una competizione ridicola su chi ce l’ha più lungo. Ma se l’arma è convincente da sola, non serve un nome spaventoso. È anche un modo per prendere in giro noi stessi».
Fire Point si è assicurata commissioni per un miliardo di dollari da parte del ministero della Difesa ucraino nel 2025. È stata sfiorata dall’inchiesta anticorruzione che ha fatto saltare alcuni uomini dello staff di Zelensky, perché un indagato aveva investito in una quota dell’azienda, ma l’indagine non ha trovato altro.
– Leggi anche: Le responsabilità del governo ucraino nel favorire la corruzione
Fire Point sta anche lavorando a missili intercettori, che servono a fermare i missili russi e per adesso arrivano soltanto dai partner stranieri, come i Patriot di produzione statunitense. «I Patriot sono fondamentali. Senza, siamo finiti. Stiamo lavorando a soluzioni nostre, ma un intercettore balistico è estremamente complesso. È un progetto di lungo periodo. Lavoriamo con grandi aziende europee. Il progetto si chiama Freya», il nome di una divinità nordica.
Terekh dice di sapere di essere un bersaglio dei russi, sin dal primo successo di un’arma prodotta da Fire Point: «Ho più paura di essere una vittima passiva che di essere un bersaglio», dice. Ha una formazione da architetto, e prima della guerra studiava arredi urbani in cemento per rendere un po’ più belli gli spazi urbani ucraini ancora in stile sovietico, ma spiega che «in Ucraina l’architettura è ingegneria. Conosciamo fisica, matematica avanzata, materiali. E poi servono esperienza di business, produzione, gestione di grandi progetti. Arrivano contributi da campi inaspettati, ed è una ricchezza. Come l’aver studiato calligrafia fu un aiuto per Steve Jobs nella progettazione dei prodotti Apple. Non essere contaminati dall’industria bellica classica è un vantaggio».

Ali di droni esplosivi ucraini pronte per essere assemblate. Da due anni la guerra tra Ucraina e Russia è anche una gara alla produzione in massa di droni (Alex Babenko per il Post)
La visita a uno dei 30 impianti dove sono prodotti droni e missili è separata dall’intervista. Lo stabilimento di Fire Point visto da fuori non assomiglia a uno stabilimento di Fire Point, per ragioni di sicurezza. Dentro c’è una catena di montaggio che produce fusoliere di missili e droni a lungo raggio (quelli grossi, che volano per più di mille chilometri, da distinguere da quelli piccoletti che volano al massimo per 20 minuti) completi per essere spediti alle unità dell’esercito che li lanciano verso la Russia. I droni sono fatti con un misto di materiali economici e leggeri, inclusa la fibra di carbonio usata per le biciclette da corsa. Un progettista dice che ricevono indicazioni dai militari e cambiano i droni quasi in tempo reale.
«I militari avevano bisogno di un drone che fosse più veloce da assemblare, perché loro ricevono i pezzi separati e poi li montano poco prima di farli decollare. Ma se ci mettono troppo tempo rischiano di essere scoperti e bombardati dai russi, perché i dronisti sono in cima alla lista dei bersagli da colpire. Così abbiamo modificato i droni e oggi li consegniamo con un tempo di assemblaggio di 18 minuti. Inoltre questi non hanno più bisogno di piccole piste clandestine per decollare, come prima. Possono partire anche dal pianale di un camion», spiega il progettista.

La fase finale della produzione di un drone a lungo raggio ucraino. La parete è coperta con plastica nera per non dare indicazioni sulla posizione dello stabilimento (Alex Babenko per il Post)
Un addetto alla sicurezza di Fire Point controlla il fotografo di questo reportage, in modo che le fotografie non riprendano i volti dei lavoratori oppure particolari interni dello stabilimento che possano fornire ai russi un indizio sulla sua posizione. Un angolo dedicato al montaggio finale del drone all’interno dello stabilimento ha come sfondo una parete coperta da sacchi neri di plastica per renderla anonima, che è un trucco usato anche dai gruppi guerriglieri clandestini quando devono fare un video.



