Le cose a Volkswagen continuano ad andare male
Per la prima volta ha interrotto la produzione in uno stabilimento in Germania, e fatica a uscire da una crisi molto più grande di lei

Martedì 16 dicembre l’azienda automobilistica tedesca Volkswagen ha sospeso la produzione in un suo impianto in Germania, per la prima volta da quando venne fondata, nel 1937. La ragione è che Volkswagen vende sempre meno macchine: la crisi, che dura da tempo, è emblematica del momento di grave difficoltà di tutto il settore europeo dell’auto, che fatica a confrontarsi con la transizione verso i veicoli elettrici, con la spregiudicata concorrenza cinese e con i dazi di Donald Trump.
A fermarsi è stato lo stabilimento di Dresda, nella Germania centro-orientale, uno dei più importanti dell’azienda dopo la sede centrale di Wolfsburg e inaugurato nel 2001. Da subito diventò noto come Gläserne Manufaktur, ossia “fabbrica di vetro”, per la struttura trasparente voluta dall’azienda come simbolo del rilancio negli anni successivi alla riunificazione della Germania.

La fabbrica di vetro di Dresda (AP Photo/Matthias Schrader)
Fu qui che in quegli anni l’azienda avviò la produzione della Volkswagen Phaeton, un modello di auto di fascia alta pensato proprio per tentare di uscire dal solo mercato di massa. Era una berlina che però non ebbe il successo sperato, e nel 2016 ne fu interrotta la produzione. Da allora lo stabilimento si è concentrato nella transizione verso i veicoli totalmente elettrici, e fu il primo in Germania a produrne. Nel 2017 fu avviata la produzione della Golf elettrica, e poi negli ultimi anni quella dei modelli ID, totalmente elettrici.
Lo stabilimento ormai non produceva più da tempo veicoli con motore endotermico, e organizzava mostre e tour guidati per mostrare la catena di produzione e le innovazioni dell’impianto: dentro c’era anche un ristorante. L’ultima vettura che verrà prodotta martedì 16 dicembre, una ID.3 GTX rossa, sarà firmata dai lavoratori e rimarrà esposta.
La fabbrica di Dresda sarà riconvertita in un centro di ricerca in collaborazione con il governo della Sassonia (lo stato federato in cui si trova) e le università locali, dove si studieranno le tecnologie per l’intelligenza artificiale, la robotica e i chip. In accordo con il consiglio di fabbrica, il potente organo sindacale che rappresenta i dipendenti di Volkswagen in Germania, ai 230 lavoratori rimasti nello stabilimento di Dresda l’azienda ha offerto indennità di buonuscita, prepensionamenti o la possibilità di trasferirsi in un’altra sede.
«Non abbiamo preso alla leggera la decisione di porre fine alla produzione di veicoli nella fabbrica di vetro dopo oltre vent’anni», ha detto l’amministratore delegato di Volkswagen Thomas Schäfer. «Dal punto di vista economico, tuttavia, era assolutamente necessario».

Un lavoratore dello stabilimento di Dresda controlla una ID.3 (AP Photo/Matthias Schrader)
La riconversione dello stabilimento di Dresda, che è tra quelli del gruppo che hanno risentito di più della crisi, rientra in un piano avviato dall’azienda per adattarsi a un mercato che è profondamente cambiato. Volkswagen vende strutturalmente sempre meno auto, i suoi stabilimenti lavorano ben al di sotto della loro capacità produttiva e dall’anno scorso la dirigenza ha iniziato a fare progetti per ridurre i costi, che prevedevano appunto chiusure e riduzione del personale. L’accordo raggiunto un anno fa con i sindacati e il consiglio di fabbrica, dopo mesi di tensioni e scioperi, prevede che entro il 2030 circa 20mila lavoratori tra operai e impiegati lasceranno l’azienda.
La situazione complessa in cui si trova oggi Volkswagen dipende da due fattori principali: il primo è la lentezza e la rigidità con cui l’azienda ha reagito ai grossi cambiamenti del mercato dell’auto, come la transizione verso i motori elettrici e la sempre più aggressiva concorrenza della Cina; il secondo è legato invece sia alla generale e grave crisi del settore in tutta l’Unione Europea, dove le vendite di veicoli sono in calo da tempo, che alle difficoltà di tutta l’industria tedesca, assai penalizzata dalla crisi energetica del 2022.
Volkswagen non ha mai recuperato il calo delle vendite iniziato durante la pandemia. La situazione è aggravata dal fatto che il suo mercato di riferimento è la Cina, dove si concentra il 40 per cento delle vendite. È però un mercato su cui ha smesso di essere competitiva rispetto ai produttori locali, perché i suoi veicoli sono eccessivamente costosi se paragonati a quelli cinesi, soprattutto nel caso dei modelli elettrici. È rimasta più competitiva nei motori tradizionali, ancora particolarmente apprezzati per la loro qualità e affidabilità. Ma la crisi economica cinese ha colpito anche le vendite di questo tipo di auto, perlopiù quelle di fascia alta: il che ha inevitabilmente danneggiato Porsche, marchio di cui Volkswagen detiene la maggioranza, e che ha già annunciato la riduzione del 15 per cento dei suoi dipendenti.
Volkswagen è poi stata tra le aziende di auto più colpite dai dazi statunitensi, a cui l’azienda ha attribuito una perdita da 1,3 miliardi di euro nel primo semestre del 2025. L’azienda prevede che alla fine dell’anno la perdita ammonterà a circa 5 miliardi di euro.
Le difficoltà di Volkswagen sono condivise con la grande maggior parte dei produttori europei di auto, primo tra tutti Stellantis, la società nata dalla fusione tra la francese PSA e l’italo-statunitense FCA, che in Italia ha ridotto parecchio la sua produzione e ha messo in cassa integrazione migliaia di lavoratori. La ragione principale è legata al fatto che le aziende non hanno saputo ben intercettare i grossi cambiamento del mercato, oggi vendono sempre meno macchine mentre tentano una transizione disordinata verso i motori elettrici, poco incentivata a causa della scarsa lungimiranza dei manager e della politica.
La crisi di Volkswagen è il simbolo europeo di tutto questo e del declino dell’industria tedesca, di cui l’azienda aveva sempre rappresentato l’eccellenza e il vigore. Ma ha anche ripercussioni enormi a livello economico, dato che dalla sua produzione dipendono il lavoro di più di 700mila dipendenti (di cui 300mila solo in Germania) e l’attività di migliaia di aziende dell’indotto.
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