A Hollywood la vendita di Warner Bros. non piace a nessuno

Chi lavora nel cinema va dal preoccupato al disperato, e non fa molta differenza tra Netflix e Paramount

(AP Photo/Jae C. Hong)
(AP Photo/Jae C. Hong)
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Ci vorranno ancora mesi prima di poter capire chi alla fine comprerà la società di produzione cinematografica Warner Bros., se davvero alla fine sarà comprata da qualcuno. Ma è già chiaro che l’industria hollywoodiana vede questa acquisizione non solo come la fine di un’era, ma come una sorta di catastrofe, quasi la fine del cinema per come lo conosciamo.

I giornali più vicini ai produttori, ai distributori, agli ambienti degli uffici, delle feste, degli eventi e dei set di Hollywood parlano di uno stato generale di caos e panico, che tuttavia potrebbe non essere interamente giustificato. Di certo però quasi tutte le categorie hanno ottime ragioni per temere l’eventualità che Warner Bros. venga acquistata da qualcuno, che si tratti di Netflix, la cui offerta era stata formalmente accettata, o di Paramount Skydance, che ha provato a superarla con un’operazione aggressiva e ostile.

Quello che spaventa di più chi lavora a Hollywood è la potenziale perdita di posti di lavoro e di concorrenza, soprattutto se dovesse essere Paramount a inglobare Warner Bros. Si tratta di due società simili, solo di dimensioni diverse (Warner Bros. è molto più grande), che quindi non avrebbero bisogno di due uffici stampa, due uffici marketing, due uffici legali, due set di produttori eccetera. Ci vorrebbe sicuramente più personale di quello che oggi lavora per la sola Paramount per gestire tutte le proprietà di Warner e le sue attività, ma non esattamente il doppio.

Senza contare che, se si guarda al passato, non c’è stata fusione che non abbia comportato una diminuzione di produzione. Paramount e Warner insomma, se unite, non produrrebbero altrettanti film e serie, anche solo perché non si farebbero più concorrenza sulle stesse cose.

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Sceneggiatori, registi e attori, ma anche le maestranze, avrebbero quindi una grossa azienda in meno per la quale lavorare. Il problema è grave perché si tratta dell’ultimo atto di una serie di acquisizioni che hanno compromesso di molto la concorrenza a Hollywood. Cinquant’anni fa i grandi studi americani erano otto (Disney, Universal, Warner, Columbia, Paramount, 20th Century Fox, United Artists e Metro-Goldwyn Mayer), dieci anni fa erano ancora sette (la United Artists fallì di fatto negli anni Ottanta e fu acquisita da Metro-Goldwyn Mayer) e oggi invece sono cinque (Universal, Warner, Disney, Sony/Columbia, Paramount). Solo negli ultimi anni infatti la Disney ha acquisito la 20th Century Fox e Amazon ha comprato la Metro-Goldwyn Mayer, che quindi non ha più la posizione che aveva prima. Una fusione Paramount-Warner ridurrebbe il numero a quattro.

Tuttavia Paramount è anche l’acquirente più legato al cinema in senso tradizionale: i suoi affari vengono dalla usuale catena di sfruttamento dei film, quella che parte con una solida distribuzione nei cinema. Cosa che non si può dire di Netflix, che invece ha sempre dato priorità alla sua piattaforma di streaming e che, si teme, ridurrebbe la parte di film che Warner distribuisce al cinema, se dovesse acquistarla.

Cinema United, associazione di categoria che rappresenta i proprietari di cinema americani, ha già parlato di «minaccia senza precedenti per il business globale dell’esercizio cinematografico […] con chiusure di massa dei cinema e il crollo dell’intero modello economico». Se i film Warner smettessero di uscire in sala infatti verrebbe a mancare un quarto dei film grandi, quelli che fanno la maggior parte degli incassi, quindi con una grave perdita dei soldi guadagnati dalle sale. In realtà non solo nessuno può sapere per certo cosa succederebbe se meno film venissero distribuiti, ma nemmeno cosa voglia fare davvero Netflix da questo punto di vista.

Hollywood e il settore delle sale cinematografiche sono senza dubbio i soggetti più avversi a Netflix, perché la piattaforma si è presentata dall’inizio come un’alternativa ai cinema, ha contribuito più di tutti al fenomeno della “Peak TV” (l’affollamento dispersivo di serie degli anni Dieci), ha sottratto star e talenti agli studios per i suoi film e le sue serie e ha fatto diminuire il numero di persone che vanno al cinema. I suoi dirigenti hanno detto più volte che il modello dello sfruttamento dei film nei cinema è obsoleto. In molti sostengono che «tutti a Hollywood la odiano in segreto, senza dirlo», come dice il titolo di un recente articolo del New York Times.

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Non aiuta che Netflix sia stata la principale promotrice di un modello di business per lo sfruttamento televisivo di film e serie che non prevede una buona remunerazione per sceneggiatori, registi e attori, nemmeno in caso di successo. Questa fu la ragione principale per il grande sciopero prima degli sceneggiatori e poi degli attori di due anni fa, che coinvolse tutti gli studi di produzione ma che, nella percezione dei lavoratori, era stato innescato dai cambiamenti portati nell’industria dal concetto di “piattaforma di streaming”. Modello ovviamente strettamente associato a Netflix.

Di fatto Netflix con i suoi contratti ha contribuito a impoverire la classe media delle persone che fanno lavoro intellettuale a Hollywood, e soprattutto per questo oggi i sindacati sono uniti nel condannare l’acquisizione e nel chiedere che venga fermata, sebbene nessuno abbia la certezza di cosa farà Netflix dopo l’eventuale acquisizione di Warner Bros.

Esiste infatti l’ipotesi che Netflix voglia cambiare, aprendosi alla distribuzione nei cinema una volta acquistata una realtà grande e importante come Warner Bros., anche in virtù di guadagni potenziali da blockbuster come Superman o Un film Minecraft. Ed esiste anche l’ipotesi opposta, cioè che Netflix userà la distribuzione di pochissimi film in sala, e per pochi giorni, come semplice promozione per la loro pubblicazione sulla piattaforma.

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Ma esiste ancora un’altra ipotesi, meno probabile: che Netflix stia solo facendo perdere tempo ai rivali e che sappia bene che alla fine l’antitrust o Paramount faranno in modo che non possa comprare Warner. Nel frattempo però, nel prossimo anno, i due studi avranno perso tempo e valore in borsa, mentre gli abbonati a Netflix saranno cresciuti come al solito. In questo caso Netflix dovrebbe pagare una penale di 5 miliardi di dollari, una cifra che secondo questa ipotesi sarebbe accettabile per l’azienda.

Anche l’acquisizione delle altre proprietà di Warner Bros. non piace a Hollywood. Tra le più importanti c’è infatti la piattaforma di streaming HBO Max, che arriverà anche in Italia il 13 gennaio.

Storicamente HBO è una società di produzione che dedica molto lavoro, cura e investimenti allo sviluppo delle serie, considerate infatti le migliori per qualità. Netflix invece ha sempre puntato sulla quantità. E non è detto che Netflix sia disposta a gestire due piattaforme diverse: potrebbe assorbire il catalogo di HBO Max e le sue proprietà intellettuali (cioè i diritti a fare serie su Il trono di spade, I Soprano, Harry Potter e via dicendo), oppure inserire il catalogo di HBO dentro Netflix a fronte di un pagamento aggiuntivo, come fa Prime Video con i suoi canali.

Non andrebbe necessariamente meglio con Paramount. Sembra assodato dai principali osservatori che una delle ragioni per le quali Paramount vuole comprare tutto il gruppo di Warner Bros., inclusi i canali via cavo, è per fare un favore al presidente statunitense Donald Trump. Tra quei canali c’è anche la rete “all news” CNN, molto odiata e attaccata da Trump: se Paramount la controllasse quasi sicuramente cambierebbe orientamento.

Anche nel migliore dei casi però è evidente che la quantità di produzioni di Warner calerebbe, almeno a partire dal 2029, anno in cui scadono i contratti di produzione già firmati quest’anno. Netflix non avrebbe probabilmente interesse a tutta quella parte di film medi, di piccolo profitto, più rischiosi o di prestigio fatti per il cinema, realizzati non per guadagnare ma per costruire delle campagne Oscar o per posizionare meglio il brand Warner. Uno degli ultimi esempi di questo tipo di produzioni è stato Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson, un film che non ha generato un profitto ma è considerato da tutti uno tra i migliori dell’anno e ben messo nella corsa agli Oscar del 2026.

In pochi sembrano avere fiducia che questo possa essere un momento di cambiamento migliorativo del modello cinematografico. Da tempo si sostiene che il rapporto tra sale e streaming non sia ottimale: che cioè vada cambiato il tempo in cui i film rimangono al cinema prima di andare in streaming, lo sfruttamento dei titoli sulle piattaforme, e i modi in cui un modello di distribuzione può giovare all’altro. Finora però le cose sono rimaste più o meno uguali. Se Netflix arrivasse a controllare un grosso pezzo di entrambi i mercati, avrebbe un grande interesse a rendere più efficiente il modo in cui funzionano insieme: ma non sembrano esserci molte speranze che finisca così.