È iniziato lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood

È il primo in 15 anni e non si sa quanto durerà: causerà problemi ai talk show televisivi statunitensi e forse più avanti a serie e film

La scritta Hollywood sulle colline di Los Angeles (AP Photo/J. David Ake, File)
La scritta Hollywood sulle colline di Los Angeles (AP Photo/J. David Ake, File)

La Writers Guild of America (WGA), l’associazione che rappresenta gli sceneggiatori che lavorano a Hollywood, ha annunciato lunedì sera che la categoria entrerà in sciopero da martedì 2 maggio. Il contratto collettivo è scaduto dopo tre anni e da settimane le trattative con i rappresentanti dei produttori cinematografici e televisivi sono in una fase di stallo. Gli effetti dello sciopero saranno visibili subito nei talk show serali della televisione statunitense, che rischiano la sospensione, mentre gli effetti su serie tv e film distribuiti in tutto il mondo si vedranno solo più avanti, nel caso in cui lo sciopero verrà prolungato.

Attraverso la WGA gli sceneggiatori chiedono soprattutto un maggior riconoscimento economico, dopo che l’evoluzione del mercato delle produzioni televisive e cinematografiche degli ultimi anni (dovuta soprattutto al successo delle piattaforme di streaming) ha profondamente trasformato il settore: è cambiato come gli sceneggiatori lavorano, come viene valutato il successo dei prodotti e quindi come sono calcolati i proventi del diritto d’autore. Per la maggior parte degli sceneggiatori di Hollywood il lavoro è non solo molto precario ma anche mal retribuito, tanto che risulta difficile vivere in città come Los Angeles e New York, dove risiedono le produzioni e dove i costi per gli affitti e la vita in generale sono molto alti.

– Leggi anche: Gli sceneggiatori americani non se la passano bene

L’Alliance of Motion Picture and Television Producers (AMPTP), cioè l’associazione che rappresenta i produttori e i distributori cinematografici e televisivi più importanti, tra cui Warner Bros., Disney, Universal e Sony Columbia, ma anche le principali piattaforme di streaming come Prime Video e Netflix, si sono detti aperti alle trattative sul contratto collettivo e hanno ricordato di aver proposto un consistente aumento. Sostengono però che le richieste della controparte di una maggiore partecipazione al successo delle loro produzioni siano incompatibili con i fondamenti della nuova economia dell’intrattenimento, nella quale stabilire il successo di un contenuto è molto complicato.

Lo sciopero degli sceneggiatori sarà il settimo nella storia della categoria e il primo negli ultimi quindici anni. L’ultimo cominciò nel 2007, durò oltre cento giorni e provocò un’interruzione prolungata delle produzioni, con effetti su cinema e televisione: si stima che costò 2,1 miliardi di dollari all’economia di Los Angeles. Anche in questa occasione come in passato, gli sceneggiatori hanno mostrato di essere una categoria molto unita: lo sciopero è stato votato a metà aprile dal 98 per cento degli oltre 9mila sceneggiatori rappresentati dalla WGA.

Negli ultimi cinque anni lo spostamento di gran parte del settore sulle piattaforme di streaming (che agiscono da distributori ma spesso anche da produttori) ha cambiato i ritmi e le condizioni nelle quali vengono scritte le sceneggiature. E anche le case di produzione e distribuzione tradizionali si sono adattate al modo di produrre delle piattaforme. Se una serie sulla televisione tradizionale in passato prevedeva 20-22 puntate a stagione, le serie sulle piattaforme sono solitamente di 8-10 episodi: le retribuzioni sono quindi ridotte, ma il vincolo di esclusiva che impedisce agli sceneggiatori di accettare altri lavori nel frattempo rimane. In più spesso le piattaforme chiedono di scrivere l’intera serie (e non solo la puntata pilota) prima della definitiva approvazione, pagando molto meno il lavoro degli sceneggiatori.

Una manifestazione di sceneggiatori in sciopero nel 2007 davanti agli studi della Paramount (AP Photo/Nick Ut, File)

Una parte importante della retribuzione era basata poi sui “residuals”, che sarebbero più o meno i “compensi derivanti dal diritto d’autore per sfruttamenti successivi al primo” (quindi quando una serie è trasmessa in replica o un film viene noleggiato o programmato da una tv). Questi sono ancora calcolati in base alle repliche, cioè ogni volta che c’è un nuovo acquisto gli sceneggiatori hanno diritto a dei proventi. Oggi che la maggior parte delle produzioni è pensata per una distribuzione sulle piattaforme streaming però il sistema di calcolo basato sulle repliche non funziona più, perché i film rimangono a tempo indefinito sui cataloghi delle piattaforme e non devono più essere riacquistati periodicamente. A questo si aggiunge che la politica delle grandi piattaforme è non divulgare i dati di fruizione, rendendo impossibile capire quante volte una produzione sia riprodotta dagli abbonati.

Secondo la stampa specializzata questo ha portato a retribuzioni anche 100 volte inferiori. BBC ha raccolto la testimonianza di Alex O’Keefe, uno degli sceneggiatori di The Bear, serie di grande successo degli ultimi anni, che ha raccontato di avere spesso pochi dollari sul conto corrente, di vivere in un appartamento a Brooklyn senza riscaldamento e di essersi fatto regalare il vestito per partecipare alle premiazioni per la serie, che non poteva permettersi. Secondo lo sceneggiatore la sua situazione non è così particolare, ma piuttosto simile a quella di molti colleghi.

Durante l’ultimo sciopero del 2007 gli effetti si videro prima nei programmi dal vivo, poi nelle serie tv i cui tempi di produzione sono più stretti e che in certi casi saltarono un’annata (anche la popolarissima serie Lost subì dei ritardi), e infine circa un anno dopo nei film, alcuni rimandati e altri scritti in fretta e furia per poter iniziare a girare prima dell’inizio dello sciopero.

In questa occasione rischiano di fermarsi subito i talk show serali della televisione statunitense, mentre gli effetti su serie televisive e film saranno meno immediati. Le piattaforme di streaming infatti hanno già pronte molte sceneggiature di serie tv e film, anche per via del periodo di pandemia (quando si è scritto molto e si è girato poco). Secondo l’analista Rich Greenfield è possibile spostare al 2025 le produzioni previste per il 2024 che si fermerebbero dopo lo sciopero, e compensare la mancanza sul 2024 distribuendo lungo quell’anno alcune uscite attualmente in ritardo.

Lo sciopero arriva in un momento di crisi economica in cui le maggiori case di produzione stanno facendo revisioni delle proprie spese, anche con cancellazioni di produzioni programmate: una riduzione del numero di produzioni giustificata da cause di forza maggiore come uno sciopero (che evitano il pagamento di penali), potrebbe in alcuni casi anche essere ben accolta.

Una delle difficoltà della trattativa risiede infatti nel momento complesso che molte case di produzione e piattaforme stanno attraversando, alle prese con la riduzione (o almeno mancata crescita) dei propri abbonati e con la crescente concorrenza. Alcune stanno ancora faticando a riprendersi dopo la crisi dovuta alla pandemia, durante la quale hanno accumulato molti debiti.

Nelle trattative fra sceneggiatori e produttori si è inoltre inserito il tema della regolamentazione dei software di intelligenza artificiale, che potrebbero essere utilizzati, in un futuro che al momento non sembra troppo prossimo, per sostituire gli sceneggiatori nella scrittura di programmi, film e serie.