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  • Martedì 9 dicembre 2025

Nei sughi italiani non ci sono quasi più pomodori cinesi

Ci sono voluti quasi dieci anni di inchieste, ma nel 2025 le importazioni di “triplo concentrato” sono molto diminuite

Pomodoro fatto essiccare
Pomodoro fatto essiccare (Fadel Dawod/Getty Images)
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Sono serviti quasi dieci anni di inchieste e denunce per limitare l’importazione di concentrato di pomodoro dalla Cina all’Italia: secondo i dati diffusi dal Financial Times, nel terzo trimestre del 2025 il calo è stato del 76 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, il segnale evidente che qualcosa è cambiato nella filiera di sughi e passate, venduti e conosciuti in tutto il mondo come autentici prodotti italiani, sani e genuini. Almeno in parte non lo erano: non del tutto italiani, sicuramente non autentici, men che meno genuini, e soprattutto non rispettosi dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici cinesi che li avevano coltivati.

Fin dal 2015 diverse inchieste giornalistiche avevano svelato come una parte dell’industria italiana, la più importante al mondo per la produzione di passate e sughi, avesse iniziato a importare concentrato di pomodoro dalla Cina, prodotto a livello industriale attraverso processi per eliminare gran parte dell’acqua contenuta nei pomodori, concentrando appunto sapore, colore e proprietà nutritive. Esaminando le intricate bolle di importazione e i dati delle dogane, si scoprì che ogni mese nei porti italiani arrivavano decine di migliaia di tonnellate di concentrato di pomodoro prodotto nella regione cinese dello Xinjiang.

Non è una regione qualsiasi: il regime cinese coltiva lì la maggior parte dei pomodori per sfruttare la minoranza musulmana degli uiguri, sottoposta a violenze, abusi, detenzioni di massa e repressioni sistematiche. Le pratiche violente a cui il regime cinese sottopone gli uiguri e altre minoranze sono state raccontate e documentate da inchieste giornalistiche e indagini di organizzazioni internazionali: uno dei più importanti e dettagliati rapporti sulla questione è stato pubblicato nel 2022 dall’ONU.

Il rapporto ha accusato la Cina di aver violato i diritti umani nello Xinjiang commettendo «crimini internazionali, in particolare crimini contro l’umanità», con campi di prigionia che il regime cinese definisce «campi di rieducazione», lavoro forzato, detenzioni di massa e sterilizzazioni forzate.

Il pomodoro coltivato nello Xinjiang e concentrato da industrie cinesi sbarcava in Italia, e in minima parte sbarca ancora, soprattutto nei porti di Salerno e Napoli. Veniva comprato da cinque o sei aziende italiane, una piccola quota delle circa cento dell’intero settore. La destinazione finale delle conserve prodotte integrando pomodori di diverse provenienze non era però l’Italia: finivano per lo più nei paesi africani, ma in alcuni casi anche in altri paesi dell’Unione Europea e nel Regno Unito.

Dal 2005 la legge italiana ha limitato i rischi per il mercato italiano: le passate di pomodoro infatti possono essere realizzate solo con prodotto fresco, lavorato entro 24 ore dalla raccolta.

Francesco Mutti, amministratore delegato di Mutti, una delle aziende italiane più note del settore, dice che fino al 2010 circa il 20 per cento delle aziende italiane comprava pomodoro cinese.

All’epoca la Cina aveva appena iniziato a investire nella coltivazione massiccia di pomodori e l’Italia diventò da subito la destinazione europea preferita: «Il pomodoro cinese aveva costi più bassi e per alcune aziende fu un modo per pagare poco la materia prima e mantenere affari ormai marginali, come l’esportazione verso i paesi africani», spiega Mutti. «Pian piano quel mercato è stato preso dai cinesi, che ora esportano direttamente in Africa senza passare più dall’Italia». Spesso queste aziende se la cavavano scrivendo sulle latte – in piccolo – “Packed in Italy”, inscatolato in Italia, evitando “Made in Italy”.

La stessa associazione di categoria dei produttori, la Anicav, ha introdotto regole per garantire più trasparenza e proteggere la credibilità di chi produce passate comprando pomodoro esclusivamente in Italia. Dal 2018 le conserve devono avere una indicazione sull’origine con una scritta evidente nella parte frontale dell’etichetta, inoltre sono stati messi a punto test per risalire alla composizione delle passate, dei sughi e delle conserve in generale.

Sono aumentati anche i controlli da parte delle forze dell’ordine: uno dei sequestri più grossi è stato fatto nel 2021 quando i carabinieri hanno bloccato 4.477 tonnellate di passata pronte a finire sul mercato, per lo più confezioni di conserve etichettate come “pomodoro 100% italiano” e/o “pomodoro 100% toscano”, che invece conteneva concentrato di pomodoro cinese.

Nonostante le inchieste giornalistiche, i controlli e le nuove regole, fino a quest’anno i livelli di importazione di pomodoro cinese sono rimasti stabili e in alcuni anni sono addirittura aumentati. Come spesso accade, per alcune aziende o fornitori è stato semplice trovare un punto debole nella lunga filiera, non ancora del tutto trasparente, e continuare a usare concentrato di pomodoro cinese. Nel frattempo la Cina ha aumentato molto la sua produzione di pomodoro.

Le cose sono cambiate dopo un’inchiesta pubblicata lo scorso anno dalla BBC, che ha messo in fila molti dei problemi già noti aggiungendo ulteriori verifiche. I giornalisti hanno analizzato 64 tipi di concentrati di pomodoro venduti in supermercati statunitensi, britannici e tedeschi e tutti descritti in vari modi come “italiani” o fatti con quelli che venivano definiti “pomodori coltivati in Italia”: di questi, 17 tipi contenevano pomodori cinesi. La maggior parte (10) era distribuita e venduta all’estero da Petti, la stessa società italiana coinvolta nel sequestro fatto dai carabinieri nel 2021 (nel 2022 l’inchiesta è stata chiusa con un patteggiamento).

Rispetto a inchieste simili fatte in passato, quella della BBC ha suscitato molto clamore nel Regno Unito e ha convinto alcune catene di supermercati a sospendere alcune forniture con aziende italiane coinvolte. Un anno fa Petti ha assicurato alla BBC che stava già lavorando alla «cessazione totale delle importazioni di prodotti a base di pomodoro dalla Cina» e di essere impegnata a «rafforzare i controlli sui fornitori per garantire il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori».

Francesco Mutti dice che i produttori hanno tutto l’interesse a sollecitare sempre più controlli e accorgimenti per rendere la filiera trasparente, e che il calo delle importazioni dalla Cina è un’ottima notizia per tutto il settore: «Dobbiamo continuare a vigilare: anche se la quota di pomodoro cinese rappresentava una quantità modesta rispetto alla produzione complessiva italiana, quell’importazione ha creato un grave danno di immagine per tutti».