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  • Venerdì 5 dicembre 2025

Perché è un problema se si sa poco o nulla degli incendi in Sicilia

Nonostante sia la regione dove di gran lunga bruciano più terreni, la legge viene applicata male e in ritardo

Un incendio divampato nel 2023 a Blufi, sulle Madonie
Un incendio divampato nel 2023 a Blufi, sulle Madonie (AP Photo/Salvatore Cavalli)

Dall’inizio dell’anno in Sicilia sono bruciati 500 chilometri quadrati tra terreni e boschi, circa la metà dei quasi mille bruciati in tutta Italia. Bisognerebbe sapere molte cose su questi incendi – come sono divampati, cosa e quanto hanno distrutto –, invece si sa sempre troppo poco perché i comuni che dovrebbero raccogliere queste informazioni non lo fanno. O lo fanno molto in ritardo.

Dall’inizio degli anni Duemila in Italia c’è una legge che dice cosa devono fare gli enti locali dopo un incendio. Le regole sono semplici. Ogni anno tra aprile e giugno i funzionari devono raccogliere informazioni sugli incendi divampati l’anno precedente e soprattutto disegnare su una mappa le aree bruciate. I dati devono essere chiesti al corpo forestale dello Stato, dal 2016 confluito nei carabinieri. La mappa viene poi pubblicata sull’albo pretorio per dare ad abitanti e associazioni la possibilità di completarla con osservazioni o rettifiche. Il consiglio comunale deve infine approvarla entro il 31 luglio: a quel punto il comune può dire di avere un catasto degli incendi.

Il catasto serve a mettere vincoli sulle aree bruciate. Per esempio, i boschi e i pascoli incendiati non possono avere una destinazione diversa da quella precedente all’incendio per almeno quindici anni. Il vincolo serve per evitare che vengano appiccati incendi per liberare i terreni e costruirci sopra, come la criminalità organizzata ha fatto per anni e in parte continua a fare.

La Sicilia ha recepito la legge con anni di ritardo e i criteri con cui la applica sono piuttosto laschi. Quando un comune non compila il catasto degli incendi e non disegna la mappa delle aree bruciate diventa inadempiente e deve essere commissariato: significa che la prefettura manda un commissario che fa il lavoro al posto dei funzionari comunali. Nel 2023 sono stati commissariati 147 comuni, la maggior parte di quelli dove nel 2022 c’era stato un incendio (in Sicilia i comuni sono 391).

«Molti comuni non hanno proprio il personale adeguato per fare quel lavoro. Preferiscono farsi commissariare invece che assumere», dice Giovanni Tarantino dell’associazione Fenice Verde, che ha promosso una campagna di sensibilizzazione su questo tema. «Ma ci sono anche comuni che lo fanno con malafede, perché hanno interesse a non vincolare certe aree, dove casualmente vengono costruite case e resort».

Le prefetture poi non hanno centinaia di funzionari da mandare nei comuni: un commissario si trova così a gestire decine di catasti. Negli ultimi anni la media è stata di circa 60 a testa. In queste condizioni il lavoro diventa compilativo, giusto per rispettare la legge, tralasciando molte informazioni importanti e in molti casi perdendosi aree bruciate che non finiscono nella mappa. Siccome i ritardi si accumulano con facilità, perfino il meccanismo dei commissariamenti pensato per risolvere i ritardi è in ritardo: i comuni inadempienti per il 2022 sono stati commissariati solo nel maggio del 2024.

Nel frattempo ogni anno in Sicilia continuano a bruciare centinaia di chilometri quadrati. Questa mappa che mostra tutte le aree bruciate dall’inizio dell’anno è stata realizzata con i dati diffusi dallo European Forest Fire Information System (EFFIS) della Commissione Europea, ricavati da immagini satellitari.

Secondo un’indagine condotta tra il 2010 e il 2020 dal corpo forestale, in Sicilia il 70 per cento degli incendi ha origini dolose: la prima causa è l’eliminazione di erbe infestanti dai pascoli attraverso il fuoco, e l’incendio come mezzo per eliminare alberi e arbusti su terreni da recuperare e poi coltivare. Un’altra causa è l’estorsione: gli incendi vengono appiccati per obbligare a pagare forme non richieste di protezione, il “pizzo”, oppure per lucrare sulle assicurazioni. Ogni estate molti politici chiedono di inasprire le leggi contro i piromani, cioè chi appicca gli incendi per un’ossessione e per il gusto di farlo, ma tutti gli studi fatti negli ultimi anni dicono che la piromania ha un impatto marginale.

Molte associazioni civiche e ambientaliste chiedono da anni di dedicare più tempo e soldi alla prevenzione degli incendi, e di richiamare i sindaci ai loro doveri. La Sicilia stanzia ogni anno 75 milioni di euro per gestire gli incendi, soldi che vengono spesi sempre allo stesso modo: la maggior parte per spegnerli, quando il danno è ormai fatto, pagando i circa 15mila forestali oltre a elicotteri e aerei che gettano letteralmente acqua sul fuoco.

Le due iniziative più recenti organizzate per sensibilizzare la politica e la popolazione su quanto sia grave l’impatto degli incendi in Sicilia si chiamano Osservatorio sugli incendi e Firefree. La prima è una campagna partecipativa promossa dall’associazione Fenice Verde per migliorare il catasto incendi attraverso le segnalazioni degli abitanti. La seconda è un sito per rendere consultabili e comprensibili a chiunque le informazioni dei catasti, integrate con altri dati, rilevazioni satellitari e segnalazioni.

Nei due comuni dove è stato testato l’Osservatorio sugli incendi – Carlentini in provincia di Siracusa e San Mauro Castelverde in provincia di Palermo – sono state raccolte 122 segnalazioni di incendi e potenziali inneschi. A San Mauro Castelverde il catasto degli incendi del 2024 è pronto, ma nonostante l’anno sia quasi finito non è stato ancora pubblicato sull’albo pretorio.